L’autrice racconta in prima persona le tappe della sua vita, senza nascondere nessuna fatica, nessuna debolezza. È un memoriale (infatti, recita “memoir” il sottotitolo dell’originale, scomparso però dall’edizione italiana), una messa a fuoco di ciò che aveva conservato per anni nei suoi diari e che ora finalmente prende corpo in un’opera complessa e mai completa, come lo sono i ricordi del passato.
Tara (e così i suoi fratelli) è stata partorita in casa, non è stata registrata all’anagrafe, non è mai stata visitata da un medico, né ha mai assunto farmaci; non ha mai messo piede in una scuola, ha passato l’infanzia a prepararsi alla sicura fine del mondo (tant’è che dormiva sempre con uno zaino di emergenza sotto al letto) e da quando aveva circa undici anni ha iniziato a lavorare tutti i giorni nella discarica di lamiere del padre.
Tara non è nata qualche secolo fa, ma nel 1986, e non in una remota regione dell’Africa o dell’Asia, ma in Idaho, USA. La vita di Tara non è un racconto di fantasia purtroppo, ma una storia vera. La famiglia Westover appartiene ai mormoni, di cui mette in pratica il credo in maniera fondamentalista: le donne devono vestire in modo sobrio ed essere dedite esclusivamente alla casa e alla famiglia, mentre l’uomo è “padrone” e la sua volontà è legge. Secondo questa religione, che ai suoi inizi permetteva la poligamia, nell’aldilà gli uomini riceveranno tante mogli quanto più sono stati virtuosi in vita. Tara durante l’adolescenza scopre l’educazione e vede in essa il mezzo per la propria emancipazione, decide così di iscriversi all’università, ma abbandonare la propria casa ed essere qualcosa di più o di diverso da ciò che le era stato insegnato la porterà a dover scegliere tra la sua famiglia e la sua libertà. “Io, una ragazza ignorante, strisciata fuori da un mucchio di rottami, avevo cominciato a capire quanto poteva costarmi la mia educazione, e avevo cominciato d odiarla.” “I legami di sangue sono vincoli apparentemente impossibili da spezzare”.
Tara è incatenata dall’amore e al tempo stesso dalla violenza domestica, fisica e psicologica, che subisce per anni, in particolare da parte del padre, determinato a bruciare il mondo pur di dimostrare che ha ragione lui, e dal fratello Shawn, che è chiaramente disturbato e crescendo diventa violento con le sorelle . La madre cerca di difenderle, ma rimane sempre fedele alla sottomissione femminile prescritta. Alcune scene sono pugni nello stomaco, ma sono necessarie per comprendere quanto possa essere faticoso ribellarsi e ancor prima trovare il coraggio di chiedere aiuto: la vera difficoltà in questi casi è proprio il non rendersi conto della gravità della situazione, il voler disperatamente chiudere gli occhi di fronte all’evidenza per non dover ammettere e affrontare il problema.
È storia senza tempo: che cosa c’è di più eterno che una donna che prova a scardinarsi dal ruolo archetipico impostole dalla famiglia (così come dalla società), per riscoprirsi con pari diritti dell’uomo, di cui non è più succube ma a cui invece chiede che venga riconosciuta la sua intelligenza? Ciò che emerge potentemente è la difficoltà che chiunque di noi ha nel distaccarsi da quello che ci viene insegnato fin da piccoli, per provare a guardare il mondo con occhi nuovi, per crearci una nostra personale opinione sulla realtà. È qui che entra in gioco l’educazione del titolo: perché è solo tramite i libri e l’istruzione che possiamo emanciparci sempre a patto che ci si ponga di fronte ai testi con un atteggiamento aperto e non dogmatico.
Tara Westover usa parole semplici ma efficaci: “Leggevo per imparare cosa pensare, non per imparare a pensare con la mia testa”. Nel romanzo spiccano le figure dei professori che hanno guidato Tara alla scoperta di se stessa e di quell’educazione che libera invece di ingabbiare e che, oltre ad essere un processo di crescita che permette di ampliare i propri orizzonti e conoscere altre verità. è soprattutto un atto di amore verso se stessi.
Nicole Manzi