Il testo oggetto di commento della presente pubblicazione è un’opera di Mirella Bentivoglio (1922 – 2017), poetessa, critica e artista verbo-visiva italiana. Si tratta di un libro d’artista realizzato nel 2013 per le edizioni Eos e intitolato L’altra faccia della luna. Fanta-dichiarazione di poetica assolutamente scientifica, all’interno del quale l’autrice da una parte trasferisce l’immagine della superficie lunare opposta a quella prospiciente la Terra e dall’altra inserisce una poesia inedita del 1978. Si riporta di seguito il testo del componimento poetico:
L’altra faccia della luna?
No: siamo il grembo di questa terra.
Ci avevate relegato lassù
mentre quaggiù costruivate logìe su logìe
e il satellite luna-donna girava ubbidientemente intorno all’astrattosfera
in cui stavate incapsulando il sempre più nebuloso pianeta.
Ora aspettate i marziani
ma la marzialità l’avete costruita voi sul pianeta.
Marte è il complementare di Venere
né l’uno né l’altra riguardano la terra né noi.
Noi, non i marziani
stiamo calando dalla luna che è la parte più sub della terra.
La luna è l’utero, della terra.
Accadde proprio così.
La luna è il frammento di terra che si staccò durante l’ebollizione
di ciò che divenne poi crosta terrestre.
Nello scoppio della bolla di terra il frammento andò
abbastanza lontano da non ricadervi addosso
abbastanza vicino da restare nell’orbita della vostra attrazione.
Il buco è rimasto nella fossa dell’Atlantide in fondo all’oceano.
La fossa ha dimensioni precisamente equivalenti alla massa della luna.
Dunque il continente perduto siamo noi.
Siamo noi le maghe che confezionano i bambini
vengono infatti dal mondo della luna.
Ma ora che voi l’avete esplorata
e ingravidata coi vostri fallici razzi
torniamo, sperando che non sia troppo tardi
per salvare il contaminato maltrattato meraviglioso rimpianto pianeta
al quale noi, lassù imprigionate come l’addormentata nella torre
lassù impietrite, lassù ripiegate come feti
ma lassù preservate da ogni marziale logìa
stiamo felicemente nascendo.
Il testo, che s’inserisce nell’ambito della letteratura femminista, risente profondamente dell’influenza degli scritti di Isolde Kurz (1853 – 1944), poetessa, scrittrice e traduttrice tedesca, nonché figura centrale del movimento di emancipazione femminile d’inizio Novecento. Cruciale per Bentivoglio è, probabilmente, la sezione Mann und Weib (‘Uomo e Donna’) dell’opera aforismatica Im Zeichen des Steinbocks (‘Sotto il Segno del Capricorno’) del 1905. Si riportano alcune frasi tratte dal testo utili alla comprensione e all’interpretazione del componimento poetico: “finché la donna orbita attorno all’uomo come una luna, in modo che solo il lato rivolto verso l’uomo sia illuminato e nessuno si chieda dell’altro lato sconosciuto, è impossibile formulare un giudizio sulle capacità della natura femminile”; “il valore della donna come essere sociale può essere messo in discussione solo quando essa si è sviluppata senza ostacoli nel corso di diverse generazioni, secondo le sue leggi interiori, quando finalmente appare come una stella che ruota attorno al proprio asse e riceve la sua luce dal sole comune”; “la donna sarà libera e rispettata quando i suo successi importanti non saranno più considerati successi maschili”. La metafora della luna-donna quale satellite ubbidiente definibile solo in relazione al maschile appare ora chiara.
L’opera, introdotta da un’interrogazione retorica forte, esibisce un tono schiettamente assertivo (basti pensare al No del v. 2): traspaiono l’insoddisfazione e l’indignazione nei confronti della condizione femminile. Tale durezza si rinforza nelle accuse pronunciate nel documento, segnalate dall’enfasi posta sul pronome di seconda persona plurale voi, riferentesi all’umanità o al solo genere maschile, come parrebbe suggerire il segmento vostri fallici razzi, v. 26. Il termine astrattosfera, una sorta di muro fatto di logìe su logìe ed eretto nei riguardi del genere femminile, si lascia ricondurre, in chiave attualizzante, al cosiddetto soffitto di cristallo, barriera che frena la libera espressione e realizzazione femminile. Il genere maschile, inoltre, ha prodotto la marzialità (si noti il gioco di parole con il sostantivo marziani) e deturpato l’ambiente, fino a contaminare anche il satellite lunare.
La relazione fra l’archetipo maschile e l’allunaggio, inoltre, era già stata evidenziata nella poesia Moon Landing (1969) di Wystan Hugh Auden: è interessante notare come l’autore tratti, con tono manifestamente ironizzante e scettico, di un so huge a phallic triumph, an adventure / it would not have occurred to women / to think worth while.
L’interesse scientifico (con valore ironizzante, come suggerito dal v. 23) della lirica, preannunciato dal sottotitolo, può essere colto analizzando il contenuto di alcuni versi. Tralasciando i riferimenti espliciti a Marte e Venere che, per quanto di valore genuinamente referenziale, costituiscono una scelta simbologica comunque relata al contesto astronomico, le righe 14 – 20 sembrano rielaborare un’ipotesi (ad oggi considerata obsoleta) sul processo di formazione lunare: la teoria della fissione. Secondo questa congettura, proposta per la prima volta da George Darwin (figlio del noto naturalista inglese Charles Darwin) e tornata in voga poco prima delle missioni Apollo, il satellite della Terra si sarebbe formato per distacco di un’ampia massa di crosta oceanica dal pianeta, una sorta di costola adamitica. Nel testo si tratta, invero, di un frammento di terra che si staccò e che dovette collocarsi abbastanza lontano da non ricadervi addosso abbastanza vicino da restare nell’orbita della vostra attrazione (dettaglio rilevante: il confino è programmaticamente organizzato in modo che la funzione di controllo sulla donna possa essere esplicata da ciascun uomo nel modo più comodo possibile); anche il fatto che si potesse trattare di crosta oceanica è echeggiato nella lirica nel verso il buco è rimasto nella fossa dell’Atlantide in fondo all’oceano.
La lirica s’impernia, in sintesi, sul dualismo tematico uguaglianza di genere – conservazione dell’ambiente, che giunge, in chiusura, alla fusione dei due argomenti (lassù preservate da ogni marziale logìa, v. 31). A ciò soggiace, da un punto di vista più analitico, un’associazione che getta discredito sulla donna, quella che la assimila alla natura. Il motivo ultimo di questa associazione è notevole. Susan Griffin, in una prosa poetico-saggistica dello stesso 1978 (anno di composizione della poesia oggetto di commento), titolata Woman and Nature: The Roaring Inside Her, tratta di come l’analogia tra la donna e la natura sia strumentale per giustificare l’imposizione autoritaria del controllo maschile sulla donna. In una cultura in l’uomo si definisce per contrasto con la natura (razionale-istintivo, spirituale-corporeo, maschile-femminile), essa è presentata come materia grezza da dominare, come la donna è corpo, istinto, emozione, ciclicità. Questo posizionamento rende natura e femminilità inferiori e legittima il loro controllo. La natura è disordinata, imprevedibile, ciclica. Così anche il corpo femminile. La risposta patriarcale è regolarlo, contenerlo, moralizzarlo. L’uomo razionale, dunque, si separa da ciò che è corpo, natura, donna. Ma questa separazione è una ferita originaria, che fonda una cultura della violenza e del dominio; dominio che nasce dall’illusione della distanza, dall’illusione di poter allontanare ciò che è afferente alla sfera del femminile, di nasconderlo sull’altra faccia della luna. Su un ulteriore piano, è possibile legare il riferimento all’astrattosfera, che costituisce una sorta di maschera del dominio: la pretesa neutralità delle scienze (le logìe) e delle tecniche, nonché dell’astrazione in genere, è ideologica, in quanto dietro la razionalità si nasconde il desiderio di controllo, di ordine, di gerarchia. Lo spazio, il tempo, i corpi, la riproduzione, il linguaggio stesso vengono mappati, misurati, astratti, perdendo il legame con la soggettività e il concreto. In questo senso, il riferimento menzionato precedentemente all’allunaggio costituisce anche un simbolo dell’ingresso della razionalità tecnologica in uno spazio sacro della soggettività, costituisce la trasformazione di una figura dell’arcaico e del poetico in oggetto tecnico, conquistato, de-simbolizzato.
L’opera, tuttavia, è chiusa da una constatazione fiduciosa che apre finalmente al cambiamento: stiamo felicemente nascendo.
Michelangelo Grimaldi