Cari professori…

È estate, e  come ogni anno siamo sullo stesso scoglio io, Stefano, Gabriele. Nel giro di quattro anni quel posto è diventato il nostro tempio: cascate di ustioni, discorsi senza fine, perlopiù stupidi. Eppure se ci penso, ogni tassello importante che ha svoltato la mia vita è sempre emerso lì. Però che strano: ogni giorno delle nostre estati conservava una certa rassicurante monotonia in cui di tanto in tanto irrompeva il guizzo del pensiero di una certa meta lontana. Invece eccoci qui , elegantissimi, alla cena dei nostri 100 giorni prima degli esami  a dimostrare che nulla dura per sempre e che sotto un sole fortissimo e un faro bianco, sarà così strano ritornare a fare il bagno perché porteremo al mare qualcosa di diverso: la leggerezza di chi ha appena finito gli esami. Pensarci fa ridere. Noi, abituati a pensare al futuro come se fosse distante anni luce. Noi che ,“masochisti”, ci siamo accelerati l’adolescenza, perché, nonostante tutto, “ancora c’è tempo”. E invece tempo non ce n’è più. Siamo agli sgoccioli. Che bugiardo il nostro tempo. Ci ha convinto di vivere per l’eternità la vita da bambini e ora, se ci tuffiamo indietro nel tempo, restano fugaci ricordi e forti sensazioni. Ragazzi, ci siamo fatti grandi. È così che ci si sente? Fa così tanto male la nostalgia?

Cari prof, forse sentire queste parole potrebbe farvi sorridere. A sedici, diciassette anni, cos’hanno visto ancora? Proprio perché ancora del mondo sappiamo ben poco, io e tutti gli altri abbiamo paura del cambiamento. Anni e anni a lamentarci della scuola, dello studio. Ora è tutto quello che ci tiene agganciati al passato. Come vi siete sentite voi, quando vi è toccata la stessa sorte? E se quello che viene dopo non ci piace? E se quello che sceglieremo non ci prenderà più come prima? Come facciamo a sapere che sarà la scelta giusta? A cosa potremo aggrapparci, nel peggiore dei casi? Forse riempirsi ora di domande è presto. Le cose si imparano vivendo. Magari è proprio perché la risposta non si troverà su qualche libro ma sulla nostra pelle che diventa impossibile non guardare con sospetto al futuro. Per questo motivo il vostro lavoro ha delle grosse responsabilità. Ci lascerete liberi in una realtà in cui dovremo saperci gestire da soli per la prima volta. Non sarete più lì a dirci cos’è giusto e cos’è sbagliato. Le vostre lezioni dovranno durare per sempre, anche quando sembrerà che non ve ne sia più bisogno. Non potete bocciarci, per caso? A parte gli scherzi, è in questi momenti che tutte le vostre spiegazioni acquistano senso e ricordarle fa bene all’anima, ci farà riprendere dai momenti di sconforto. Quando avremo paura di scegliere, penseremo a Kierkegaard; quando niente sembrerà capirci, un romanzo modernista spiegherà l’inspiegabile; all’interno di un museo, riconosceremo un Turner, un Constable o un Hayez e ci stupiremo come la prima volta; quando ci innamoreremo di qualcosa o di qualcuno, apprezzeremo la perfezione delle regole che governano l’universo. Resterete sempre e comunque un punto di riferimento nei momenti più cruciali della nostra vita. Se sapremo dirimere un difficile intreccio, sarà sicuramente merito vostro. E se noi diventeremo certi uomini e certe donne, sarà anche il frutto delle vostre parole, oltre che di quelle dei nostri genitori e dell’ambiente in cui siamo cresciuti. E qui non si tratta del programma che svolgete ma di ciò che trasmettete per mezzo del programma che rispettate. Arrivati a questo punto, le materie non sono più incubi astrusi: parlano tutte di vita nelle diverse forme e capire il messaggio che volete farci arrivare significa capire noi stessi. Le persone che noi studiamo non si sono di certo fatte un “mazzo enorme” solo per diventare la peggiore fobia degli studenti. E noi speriamo di meritare il loro sforzo nello scoprire, il vostro sforzo nel trasmettere. Grazie, grazie, grazie.

Grazie alla professoressa Polopoli, la cui cultura non ha limite e una lezione di inglese diventa una lezione di filosofia, italiano, storia, etimologia, francese, latino, greco, tutto messo assieme. Non dimenticheremo il suo moncler iconico e la descrizione del nostro gruppo “make it new!”. E facciamola pure noi, nuova di zecca, la nostra vita!

Grazie alla professoressa La Ferla, la più seria, la più rigorosa. Grazie per le sue lezioni che ci hanno dato modo di scoprire il legame profondo tra scienza ed etica, accendendo in noi la curiosità verso quello che ci circonda. Una sua frase resterà impressa per sempre: “chiaro si o no?”

Grazie alla professoressa Ternullo, amante dei gatti e della scrittura. Ma più dei gatti. A lei va il merito di aver dato vita all’estro dei suoi fanciulli, tramite scrittura creativa e rubrica (uno meno meno a Gabriele, che l’ha dimenticata).

Grazie alla professoressa Panessidi, la più informata di tiktok (“subitoooooo”), appassionata di letteratura e di “Barbero”, della quale ricorderemo l’allegria entrando in classe, il caschetto lungo, le unghie babyboomer e la maglietta “no comment”.

Grazie alla professoressa Ruggiero, innamorata dei suoi numeri. Di lei va riconosciuta indubbiamente la generosità verso Milo e la voglia di farci scorrere nelle vene il “matematichese”, col suo accento inconfondibile, figlio dei pasticciotti.

Grazie alla professoressa Strazzulla, con la quale l’educazione fisica ha preso il vero senso della parola. Custodiremo le sue lezioni sulla legalità, volte a renderci cittadini consapevoli. Spalliera e trolley saranno i suoi simboli per l’eternità.

Grazie alla professoressa Spinali che non ci ha visto crescere fin dal primo giorno, ma si è dimostrata degna di sostituire il pilastro che è stato per noi la Previti. Ci faremo portavoce del suo urto nei confronti di Hegel.

Grazie alla professoressa Moschitto. Quante volte ci ha permesso di spostare compiti e interrogazioni… Sembrerà sempre ieri, il giorno in cui la sua faccia preannunciava l’esito dei compiti sulle biomolecole del secondo anno. A proposito, il prossimo compito per che data lo posticipiamo?

Grazie alla professoressa Di Giacomo, ai suoi cappottini lunghi e ai ricci rossi che si gira sempre attorno alle dita. La nostra unica certezza sarà avvistarla mentre corre vicino casa.

Grazie alla professoressa Bellistri, ai suoi discorsi sulla morale, sul rispetto e l’educazione.

Grazie alla professoressa Sapia, viaggiatrice fin da piccola. Rimarrà la prof dei visori che dal nulla comincia a insultare Gabriele in inglese.

Grazie alla professoressa Politi per averci fatto capire che il nostro futuro non sarà di certo la chimica. Indimenticabili le risate sui problemi e i suoi crackers e impanate senza glutine.

A distanza di anni continuerete a rappresentare un porto sicuro per noi. Dopo la maturità, tra un’onda e l’altra, immagino già tanti silenzi. I silenzi di un “a presto”, come quelli che seguono un’indimenticabile serata, una grande storia conclusa.  Ai miei compagni dico: “Godiamoci il tempo dei bagagli, della fretta di prepararci, delle ore notturne, ore d’aria, passate a fantasticare. Dei desideri ancora indefiniti, ma inevitabili e imminenti. Dell’ansiosa attesa, dei rimpianti e dei progetti, dei bilanci e delle idee. Assaporiamo finché possiamo i litigi in classe, le interrogazioni prese con superficialità, la leggerezza di ragazzi, che viaggiano tra le nuvole e i banchi con le rotelle, che si scontra con la concretezza dei professori. Sarà pur sempre impossibile guardare al futuro, ma proviamo a farlo con una consapevolezza: che a furia di pensare al futuro non perdiamo il presente, i bei momenti con i nostri prof. Quanto a voi insegnanti, prometteteci solo una cosa. Prendetevi del tempo per voi, qualche volta, in questo mondo iperattivo e pensateci, passando tra le vostre mani le miriadi di stelle che ci sormontano. Non importa dove saremo, né il come e né il perché. Non lasciateci mai soli col pensiero. Così che noi, guardando in alto, sorrideremo ripensandoci sedicenni lavativi, puntando le stelle che, in questi anni, abbiamo visto sempre sorgere e tramontare. Insieme.

Con affetto

Daniele Gaeta  4QL