“Hanno aperto il cancello!”. Non è la prima foglia ad averlo detto oggi. La notizia ormai si è diffusa come i tanti rami dell’albero spoglio messo in disparte. Voce dopo voce, alla fermata un cespuglio di foglie si affaccenda con ansia per partire e nei quartieri intorno, appese su rami e ramoscelli, esistono solo chiazze di verde al corrente della situazione. Piano, col passo di un felino, le grandi chiome si ingialliscono e altre sfoggiano la loro pelle abbronzata, bruna come il manto di una volpe e di uno scoiattolo. L’autunno parla da assonnato, ma parla già. Non vuole perdersi le prime luci del giorno. Alcune foglie sono rimaste stupite e indispettite dall’apertura del cancello. Per anni una bava di vento, esile quanto un rantolo esalato, si era estinta e ogni fogliolina dovette accettare quella fermata, fino a quando per l’appunto la serata non si fosse sgombrata e il cancello grande e nero avesse dato il via a una carovana interminabile, aprendosi. Sotto quella fascia di bonaccia le foglie sembravano vele giù di morale. In realtà giù c’è sempre e solo stata la loro vela, non i loro sorrisi. Gli anni si sono persi dietro pagine e pagine di racconti, di amicizie, di peripezie assurde. Insomma, le foglioline lasciate per terra in attesa si erano date da fare, sotto un cielo celeste e una superficie d’acqua azzurra tanto quanto il cielo. In qualche punto la continuità dell’acqua era rotta da tronchi emersi ricchi di vita. Nonostante quell’acqua, l’autunno… le foglie avevano infatti l’impressione che il colore delle amiche poste sui rami si facesse più scuro, più ombroso, spento. In quel mondo che sembrava un paradiso, tra mare, cielo e una luce piena, identificare delle tracce della stagione del rosso e del marrone era per loro cosa da niente. A corroborare la loro ipotesi c’era una nebbia lattiginosa che privava le foglie degli alberi del loro aspetto consueto, del loro vigore. Dapprima questa nebbia stava solo al di là del cancello e qualche volta le foglioline per terra provavano con un binocolo a scorgere tracce di un sentiero. La nebbia non era d’accordo. Ciò che sta oltre resti un enorme dubbio! Lo resta tutt’ora, dato che il fastidioso velo bianco, seppur quasi sul punto di dileguarsi, lascia più spazio all’immaginazione che a sentieri che appaiono come dividersi più e più volte fino all’orizzonte. Le foglie avevano provato così tante volte a vedere oltre da perdersi, se non dimenticarsi, del loro paradiso terso, prima che la nube si spostasse e investisse le loro venature. Ma ora il cancello è aperto. “Hanno aperto il cancello!”. Di nuovo. “Hanno aperto il cancello!”. Ed eccomi qua, una foglia che continua a sognare. Il cancello è spalancato e lo vedo benissimo coi miei occhi. Un colosso scuro su un campo di cielo e mare celeste, separato ora in due parti. Un croscio lontano. Foglie rimaste ancorate al proprio albero. Si sentono abbandonate nel passato. I ricordi, tristi. È il loro saluto. Frangenti prima che il vento cominci ad alzarsi. Già si sente, si annusa, si percepisce che a momenti prenderà il sopravvento. Si stanno ancora disperando, lo sentono anche loro. Ma io sono tranquillo, anzi, lo aspetto. Volteggi, capriole, piroette… chissà come varcherò quel cancello. Già mi sento in volo. Ho le ali delle foglie del mio passato. Un dolce movimento di onde mi lascia sospeso ad un futuro adesso presente. Eccomi, che immagine limpidissima. Sfreccio lungo il grande ferro, contro la foschia pallida ma tenue, amichevole. Altre foglioline corrono, vengono sospinte, guardano con occhi curiosi. “Lo vedete amici? Questa è la nostra corriera. Ci aspetta un bel, lungo, estenuante ma ricco viaggetto. Avete portato le carte?”. Sembra quasi che stiano per comparire tra un buco e l’altro della nebbia alcuni titoli di coda, oltrepassata la soglia. Ma è davvero così? È davvero la fine? In questo vento, in questo tempo e con questo destino, qualsiasi parte del corpo si agita, si innamora, incassa delusioni, si riempie di gioia e gusta il bene e il male. E quella grande parola che separa i due mondi, sopra il cancello, adesso più vivida che mai perché non c’è più alcuna foschia che mi separa da lei: simboleggia davvero il termine dei giochi? Basta essere dispiaciuti di lasciare qualcosa per poter dire “è finita”? L’autista della corriera ci rassicura. Il vento, quante volte avrà percorso questa tratta! Mi fido. Mi fido delle sue parole. Guardo indietro. Neanche lì sopravvive nebbia, ormai. Ha lasciato comparire lembi di fazzoletti bianchi in segno di saluto. Guardando meglio, le foglie non hanno mai perso il loro verde, in realtà. Eravamo noi viaggiatrici ad averglielo tolto con i nostri dubbi. Eravamo noi a creare la nebbia. Torno a voltarmi per scoprire il mondo al di là. Ora vedo tante strade. Quale sceglierò? Accetto di lasciare tutto alle spalle per riaverlo di nuovo. E gustando, gustando ancora, gustando di più, qui c’è davvero tutto. Qualsiasi cosa si possa immaginare. Eppure, non c’è nulla di qui, che, nemmeno lontanamente, della fine abbia mantenuto il sapore.
Daniele Gaeta 4QL