Ecco il racconto che ha vinto il terzo posto nella sezione letteraria in prosa del concorso “La Cultura del Mare” promosso dall’Ordine degli Ingegneri di Siracusa in collaborazione con Isab, la Capitaneria di Porto di Siracusa, l’Autorità di Sistema Portuale del Mare della Sicilia Orientale, l’Istituto Gagini, la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Siracusa e il Consorzio Area Marina Protetta del Plemmirio.
Sono il respiro salmastro che bagna le rive di Siracusa da millenni, io, il Mare, che custodisco storie sussurrate dalle onde, di coraggi perduti e di ritorni sperati. Oggi, dal mio profondo, vi racconto una storia lontana, un’Odissea che il tempo ha cambiato un po’, ma che nel cuore ha la stessa identica cosa: il viaggio di un Ulisse dei nostri tempi. Mi ricordo ancora le agili navi di Itaca che tagliavano la mia superficie allora incontaminata, spinte dalla forza dei remi e dalla tenacia di uomini abituati al sale. Oggi, invece, accolgo barche silenziose e piene di tecnologia, illuminate da luci artificiali che sfidano il buio degli abissi. Eppure, il vento che gonfia le loro vele invisibili è lo stesso desiderio di sempre: la voglia di sapere che spinge l’uomo oltre quello che conosce, il bisogno di superare i limiti, la forte attrazione di una patria che vive nel profondo dell’anima. Il mio Ulisse di oggi non scappa dalle rovine fumanti di Troia, ma da un labirinto di sicurezze fragili, da una vita piena di apparenze. Le sue navi moderne navigano sulle mie onde portando con sé un peso che non si vede, il peso dei problemi che fanno male al mio corpo blu: l’ombra scura dell’inquinamento che mi soffoca, le febbri del cambiamento climatico che cambiano il mio ritmo millenario, la fragilità di un ambiente prezioso e delicato come il cristallo. I suoi compagni non hanno lance affilate, ma strumenti precisi, pennelli pieni di colore, menti brillanti. Sono scienziati che guardano i miei abissi, artisti che prendono la mia anima che cambia sempre, persone che inventano cose nuove per trovare un nuovo equilibrio. Insieme affrontano le mie tempeste improvvise, che sembrano i loro problemi interiori, le difficoltà esterne che gli sbarrano la strada. Le Sirene di oggi non incantano con una bella canzone, ma con l’inganno di un progresso senza cervello, con le promesse false di un benessere che dura poco, costruito sulla mia lenta morte. Come l’eroe di una volta, questo Ulisse moderno deve lottare contro la voglia di fermarsi in terre straniere, affascinato da sogni di ricchezza veloce, dal desiderio di dimenticare tutto in modo comodo. Ma il richiamo di Itaca, della sua Siracusa baciata dal sole, si fa sempre più forte, un desiderio profondo di ritrovare le radici nella sua terra, di aiutare a guarire le ferite che la rovinano. Il suo viaggio è una riflessione lenta e consapevole sul legame che non si può spezzare tra l’uomo e me. Non sono più solo una strada liquida per il commercio, una fonte infinita di cose da prendere, ma un essere vivente, fragile e che pulsa, un tesoro inestimabile da proteggere con cura, da tenere stretto per le generazioni che verranno. Le sue imprese non sono grandi battaglie contro mostri marini, ma azioni concrete, silenziose e tenaci, fatte per salvarmi: progetti ambiziosi di energia pulita che accarezzano le mie correnti, iniziative per far capire alle persone che si sono assopite, ricerche pazienti per scoprire i miei segreti più nascosti. Il suo ritorno a Itaca non è la riconquista di un trono rubato, ma la riscoperta di un vero legame con la sua comunità, con l’identità profonda della sua gente. Penelope non aspetta più filando una tela piena di tristezza, ma partecipa attivamente a costruire un futuro che rispetta l’ambiente, sapendo che la ricchezza dell’uomo è legata alla mia salute, al mio respiro vitale. Con le sue avventure moderne, questo Ulisse manda un messaggio forte, scritto sulla superficie delle mie onde come un avvertimento eterno: il vero eroismo non sta nel conquistare o nel comandare, ma nella responsabilità consapevole, nel capire profondamente come le nostre azioni cambiano il mondo intorno a noi, nella capacità di fare un viaggio dentro e fuori di noi che porti a ritrovare un equilibrio con la natura che ci nutre. La sua storia, che dura poco come la schiuma delle onde, eppure eterna come il mio movimento continuo, è un invito urgente a pensare al futuro incerto del nostro mare, al bisogno immediato di un impegno di tutti, di un’alleanza tra uomo e natura per garantirne la sopravvivenza. È un’eco lontana del vecchio mito, un sussurro che diventa un grido nel vento, raccontato di nuovo alla luce dei problemi urgenti del nostro tempo, un avvertimento serio ma anche una speranza viva per i giovani che guardano il mio orizzonte infinito. Questo è il mio canto che non finisce mai, la storia di un viaggio che si ripete senza stancarsi, con la profonda speranza che ogni Ulisse moderno possa finalmente ritrovare la sua Itaca, una terra fertile e un mare vivo, un tesoro prezioso da amare e proteggere con la forza della ragione e la passione del cuore.
Vittoria Giovanniello 4 BL