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Il mio mestiere è vivere la vita – Mogol incontra i ragazzi del “Majorana-Fascitelli”

Non solo un autore – vietato chiamarlo paroliere, «è una mancanza di rispetto, un po’ come definire i giornalisti scribacchini» – , non solo un produttore, ma anche e soprattutto una delle più grandi personalità del Novecento, un uomo di straordinaria cultura e fantasia; è Mogol, nato con il nome di Giulio Rapetti a Milano nel 1936. Figlio d’arte – suo padre era un dirigente della casa discografica Ricordi – esordì appena diciannovenne con il testo Briciole di baci, interpretato da Mina. Da allora, nella sua carriera costellata da grandi successi Mogol ha collaborato con i più grandi artisti del panorama italiano, come Lucio Battisti, Riccardo Cocciante e Adriano Celentano.

«Cercate il testo che c’è scritto nella musica», dice ai suoi allievi. È forse questo il suo segreto, che gli permette di creare ad ogni testo una nuova magia: ascoltare – con le orecchie dell’autore, non del compositore – ciò che la musica vuole comunicare e tradurre in parole questi significati nascosti. È in questo che il proprio vissuto gioca un ruolo fondamentale: è l’esperienza, infatti, a fornire all’autore delle parole la chiave interpretativa di ciò che si percepisce dalla musica in forma intuitiva. L’importanza della vita reale in un testo (e, più in generale, l’arte della parola in musica) è quanto tenta di trasmettere ai suoi allievi del Cet, la scuola di Mogol: il Maestro vuole percepire dai loro testi «il pulsare della vita reale», lo stesso che emerge ascoltando i suoi capolavori, primo fra tutti La canzone del sole – le “bionde trecce”, ha dichiarato poi Mogol, erano quelle di Titti, il suo primo amore, quando lui aveva sei anni e lei cinque –.

«Respirando la musica, arriva il testo», dice. Nel caso di Mogol, ad arrivare sono stati solo grandi testi, tutti composti lasciando che fosse la musica a suggerire le parole, a comunicare il proprio messaggio altrimenti indecifrabile. Testi che hanno fatto la storia della musica leggera italiana e che ancora oggi trasmettono emozioni come pochi altri grandi sanno fare. Testi nei quali tutti possono rispecchiarsi, rivedendo descritta in versi la propria esperienza personale.

Di vita, esperienza, umanità e rispetto aveva parlato con i ragazzi del Majorana il 31 marzo 2001, durante un incontro che ha emozionato e fatto riflettere gli oltre 400 studenti coinvolti. «Il mondo intorno a noi non è dei più belli», ha detto, «ma non possiamo continuare a lamentarci soltanto. È tempo di costruire la vostra vita. E che sia gioiosa, che non abbia il denaro come unico obiettivo. Costruiamo un microcosmo che ci soddisfi umanamente. Solo così, partendo dalla dimensione personale, possiamo avere qualche speranza di cambiare il mondo». Parole che hanno ispirato i giovani partecipanti all’incontro e hanno stimolato la loro curiosità, lasciando in loro un ricordo indelebile di quell’incontro.

Un’altra generazione del nostro istituto ha avuto il privilegio di incontrare il Maestro: il 30 gennaio 2017 Mogol è stato per la seconda volta ospite dell’ISIS Majorana-Fascitelli per presentare la sua autobiografia, uscita in occasione del suo ottantesimo compleanno e intitolata Il mio mestiere è vivere la vita (Rizzoli, pp. 208, euro 29,90).

«Ho fortemente promosso questa lectio magistralis», spiega la preside Carmelina Di Nezza, «in quanto sono affascinata dallo spiccato senso artistico del Maestro Mogol capace, come già è stato dell’incontro del 2001, di intercettare le modalità comunicative degli studenti e di trattare con fascino e carisma di musica, di filosofia, di vita. Pochi artisti, inoltre, hanno la sua straordinaria sensibilità di riuscire a tradurre in parole sentimenti, stati d’animo, emozioni». Emozioni che non sono mancate ascoltando le parole sempre attuali, sempre profonde di colui che della vita ha fatto il suo mestiere. Un’occasione di crescita, un evento indimenticabile durante il quale i ragazzi, seduti intorno a Mogol, hanno interrogato il Maestro sul successo, sulla paura, sulla vita. Le sue parole hanno lasciato un segno indelebile nella memoria e una profonda ispirazione nelle menti di coloro che hanno partecipato all’incontro.

  Francesca Lanni, IV C