Il viaggio alla ricerca della “mia Itaca”

Un caso strano, anomalo: “Prima il testo e poi la musica, rispetto al solito”, è questa la confessione del musicante Flash alias Francesco Papageorgiou, che parla del brano “La mia Itaca” (dall’album Musicanti di Grema, 2012). Durante l’incontro-concerto che si è tenuto per le classi 2C, 3A e 5A del Liceo Bertolucci sabato 25 febbraio, i Musicanti di Grema raccontano la loro musica, come nasce, cosa la ispira.

Il protagonista della canzone non ha evidentemente bisogno di presentazioni, lo conosciamo tutti. Quello dell’inganno del cavallo, del viaggio per mare, quello che si chiama “Nessuno”, in patria un arco, una sposa e un figlio lo attendono: Ulisse. Età? Duemilaseicento anni, secolo più secolo meno.

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È notevole quanto un personaggio, che ha segnato una delle prime tappe alle origini della letteratura e della nostra stessa cultura, comunichi ancora con noi, abbia ancora qualcosa di significativo da dire. Dopotutto è la forza stessa dei classici: ci fanno riflettere, misteriosamente spiegano la contemporaneità, o meglio, noi stessi ricerchiamo in loro una risposta, una lettura del nostro presente.

Probabilmente il fascino dell’uomo di mare avrà traghettato Ulisse attraverso la voce di rapsòdi o i programmi scolastici di letteratura: in fondo qual è uno dei ruoli della scuola se non quello di fare da ponte, tradĕre i nostri modelli, traghettarli attraverso il tempo e non farli passare mai? Proprio la scuola, racconta Francesco, gli ha fornito tanto materiale su cui scrivere e comporre: è questo il caso del brano “La mia Itaca”.

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Il XXVI dell’Inferno parla di lui e del suo “folle volo”; Tennyson ci racconta un Ulisse, Pascoli ne descrive un altro, D’Annunzio un altro ancora; possiamo leggere l’Ulisse di Joyce, di Saba e quello di Pavese… Il mito di Ulisse non ha ancora smesso di pulsare perché parla di noi, di un aspetto ancestrale connaturato al nostro essere: l’idea del viaggio, dell’evoluzione o della decadenza, della ricerca della propria identità che fanno parte della nostra cultura.

Anche l’Ulisse dei Musicanti è in viaggio, attraversa le città europee e osserva: non cerca disperatamente conferme disattese come il personaggio pascoliano, né si rifiuta di “volgere il capo”, disdegnoso e superbo come l’Ulisse di D’Annunzio. I suoi occhi si posano sulle contraddizioni del nostro tempo e noi siamo trasportati attraverso un senso di smarrimento e profonda insoddisfazione: l’euforia di una notte cela la solitudine a Barcellona; ad Amsterdam i tulipani ondeggiano al suono di morte, “tra droghe e tra puttane”; un’eco di sirene squarcia la notte greca ad Atene; i colori del mercato bizantino mascherano la sensazione di un’inarrestabile decadenza.

Alla fine l’esito possibile è soltanto uno: “Ulisse me lo disse: — Giri il mondo e resti triste se non trovi un’Itaca dentro di te —”.

Orazio scriveva: “non mutano il loro animo, ma solo il cielo sopra di loro, coloro che attraversano il mare” (Epist., I, 11). Sono voci distanti, riecheggiano. I Musicanti hanno fatto centro: è inutile cercare per mare ciò che possiamo trovare solo dentro di noi. La nostra Itaca, la nostra identità, la felicità interiore contro l’inquietudine dell’oggi. Una constatazione sempre attuale, che non passa. Come Ulisse e la sua Itaca.

Luca Cantoni, 5A

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