Il tatuaggio tra arte e antropologia

Il termine “tatuaggio” deriva dalla parola tahitiana “ta-tau”, che significava “colpire, segnare”. L’introduzione in Europa si deve al capitano James Cook che la trascrisse come “tattow”, di ritorno da un viaggio nell’Oceano Pacifico.

Il tatuaggio è un segno permanente sulla pelle, realizzato con pigmenti di diversi colori, in cui si segue un disegno. Questo viene tracciato su carta trasparente e fatto aderire alla pelle precedentemente spalmata di vaselina. Raramente si disegna direttamente sull’epidermide.

Il tatuaggio venne utilizzato fin dall’epoca preistorica. Ne sono testimonianza sia alcune figure di creta con motivi geometrici, sia mummie ben conservate, come quella del cosiddetto “Uomo del Similaun”, ritrovata sulle Alpi Venoste, su cui sono tracciati ben 57 tatuaggi.

Ci sono diverse tecniche per effettuare un tatuaggio. Tra queste la più moderna e popolare prevede l’utilizzo della cosiddetta “macchinetta”, che comprende ago rigorosamente sterilizzato, motore e appositi colori. Questo metodo è perlopiù utilizzato da professionisti diplomati, non da semplici amatori.

Ci sono invece tecniche più antiche e tradizionali usate da diversi popoli sparsi in tutto il mondo. Secondo una di queste, diffusa in Siberia e Canada, si intingeva un filo nel colore e lo si faceva passare sotto pelle tramite un ago, fatto con spine di pesce, punte d’osso o di conchiglia.

Nei diversi paesi, il tatuaggio acquista numerosi significati: religioso, apotropaico, estetico, di distinzione di classe sociale o gruppo di appartenenza.

Presso alcune popolazioni, il tatuaggio era usato in rituali di passaggio, ad esempio dall’infanzia alla vita adulta, o dal celibato/nubilato alla vita matrimoniale.

Alcuni tra i tatuaggi più interessanti, a livello antropologico, sono in Nuova Guinea, dove le ragazze fidanzate erano tatuate dal collo all’ombelico. Al momento del matrimonio, a questa decorazione, veniva aggiunto un disegno a forma di “V” in mezzo ai seni, con funzione benaugurale.

Abbiamo un altro esempio curioso nell’Isola Hokkaido in Giappone, dove le donne avevano, intorno alle labbra, tatuaggi a forma di baffi nei toni del blu. Essi servivano a proteggerle dagli spiriti maligni, che si credeva potessero entrare nel loro corpo attraverso la bocca.

Infine, nelle Isole Marchesi, il tatuaggio era così diffuso da essere usato dall’intera popolazione a seconda del ceto sociale: più questo era alto, più i tatuaggi erano estesi a tutto il corpo.

Anch’io sono un’amante dei tatuaggi e vorrei fare di questa passione la mia futura professione. Intanto ho già iniziato a fare pratica disegnando quelli che vorrei tatuare su me stessa.

Tra questi, uno raffigura un noto simbolo di Roma, ossia il “nasone” (la tipica fontanella pubblica romana). Secondo me, il tatuaggio è un modo per abbellire e decorare il corpo, utilizzando disegni che esprimano qualcosa della persona, in questo caso me stessa. Con questo tatuaggio voglio infatti mostrare l’amore che ho per la mia città.

Arianna Borrazzi, 4E Liceo Artistico “Via di Ripetta”