Million Dollar Baby

Urla.

Sento solo quello quando varco la soglia della palestra.

Vedo solo sagome sfocate, tante, troppe sagome. Ma il mio sguardo è concentrato solo su di lei, Billy “Orso blu” Astrakov, un metro e 90 per novanta chili; insomma, batterla sarà una passeggiata.

Frankie mi posa una mano sulla schiena e mi guida verso il ring, che si erge imponente al centro dell’enorme stanza. Ha il volto stranamente rilassato, niente ruga in mezzo alla fronte e niente mascella serrata: sembra quasi più…giovane.

Sorride.

Non mi guarda, ma so che sta sorridendo per me, e che la mano gentilmente appoggiata sulla mia spina dorsale è un segnale.

–Io ci sono-, sembra dirmi –Sono qui per te-

Tiro giù il cappuccio verde della cappa che indosso e sento le persone sugli spalti urlare il mio soprannome :”Macushla, Macushla!”

Adesso sono io che sorrido: Frankie e il suo dannato gaelico.

Alzo gli occhi al cielo mentre mi torna in mente la prima volta che mi aveva chiamata in questo modo: ero alle prime armi con la boxe, sapevo giusto tirare qualche colpo, ma nulla di speciale.

Frankie mi si era avvicinato, e mi aveva guardata allenarmi a lungo, per poi dire :”Non male Macushla, continua a muovere quel didietro”

Quasi mi viene da piangere a pensare a dove sono arrivata, io, Margaret Mary Fitzgerald, contro la campionessa in carica a livello mondiale.

Chiudo un attimo gli occhi e sono già sul ring.

Frankie mi aiuta a togliere l’accappatoio verde irlandese.

Faccio roteare il capo prima a destra e poi a sinistra, saltello sul posto e scrollo le spalle, osservando con attenzione la mia avversaria.

Lei, al mio contrario, è seduta su uno sgabello in legno dall’altro lato del ring. Ha la testa completamente rasata e indossa un completo blu. Sta parlando con quello che penso sia il suo manager, ma non distoglie lo sguardo da me. Fa un sorrisetto, che io ricambio prontamente: che i giochi abbiano inizio.

Siamo entrambe in piedi ora. Lei mi supera di una spanna, ma non mi fa paura. –Macushla, sei il sangue del mio sangue. Va e vinci.- mi sussurra all’orecchio Frankie.

Faccio sbattere i guantoni fra loro e mi metto in posizione.

E’quasi inquietante vedere Billy compiere i miei stessi movimenti simultaneamente.

Sento il fischio d’inizio e lei è già su di me. Alzo le braccia per proteggermi, ma i suoi colpi non mi danno tregua. Faccio qualche passo veloce a destra e finalmente riesco a liberarmi. Prima che possa contrattaccare mi faccio strada nella sua debole difesa, scagliandole addosso due sinistri, ruoto velocemente facendo da perno sulla gamba sinistra e il mio gancio la colpisce con forza sulla mascella. Barcolla, ed emette un ringhio quasi animalesco. Non sento più nulla, non sento più il pubblico che grida, né Frankie che mi incoraggia, ci siamo solo io e lei. Si appoggia alle corde e allora avanzo, e con una combinazione di destro e montante la mando a tappeto, ma è tutto troppo facile.

Inizia il countdown, ma, sul sette, quell’ammasso di muscoli russo si rialza, dolorante, ma si rialza.

L’arbitro fischia, finalmente.

Mi siedo su uno sgabello dalla mia parte del ring, mi passo un asciugamano sulla fronte e bevo un sorso d’acqua.

Frankie mi sorride –Bravissima piccola, qualche altro colpo ed è nostra-, mi incoraggia.

L’arbitro fischia un’altra volta.

Sono di nuovo in piedi, posso sentire la collera riversarsi nelle sue vene.

Si avvicina ancora e parte con una combinazione di pugni che mi stordiscono, l’ultimo destro non lo vedo neppure arrivare.

All’improvviso vedo tutto sfuocato, l’arbitro fischia un’altra volta e mi sembra che il suono rimbombi nelle mie orecchie.

Mi ritrovo nuovamente seduta.

Frankie fa qualche apprezzamento poco carino sulla mia avversaria e mi scruta l’occhio colpito con sguardo attento.

-Ti ha colpito la palpebra, te la sistemo come posso, a stai attenta- e comincia ad armeggiare con la scatoletta del pronto soccorso. Quasi non sento l’ago entrare ed uscire dalla mia pelle, credo a causa dell’adrenalina. –Chiudi tutto prima che puoi, mandala a tappeto- mi suggerisce mentre mi disinfetta scrupolosamente il taglio.

-Ma non ci vedo da un occhio!-

-Per vincere non ti servono tutti e due.-

Il combattimento riprende.

L’occhio non è messo poi tanto male; non ci vedo un bel niente, ma almeno non mi fa troppo male.

Giro intorno alla mia avversaria, e lei fa lo stesso. Ci osserviamo per un po’: ansimiamo entrambe, siamo stanche morte, ma io voglio vincere. Non solo per me, ma per Frankie, per mio padre… Insomma, ho già 36 anni e questo potrebbe essere il mio ultimo incontro: tanto vale provarci.

Attacco.

Le tiro un destro diretto al volto, due sinistri di seguito per disorientarla e un gancio destro.

Nell’ultimo colpo ho messo così tanta potenza che lei è crollata a terra, di nuovo.

Un altro countdown, ma questa volta è l’ultimo, lo sento, lo vedo. Prova ad aggrapparsi alle corde, ma è troppo debole.

E quando al dieci non si rialza, il pubblico esulta, grida, scalpita, batte mani e piedi.

Mi giro di scatto e salto letteralmente addosso a Frankie.

Sento risuonare un urlo.

Uno solo.

–Macushla, Macushla!-

 

Ce l’ho fatta, Frankie.

Ce l’ho fatta, papà.

Ce l’ho fatta.

 Giulia Mazzei, classe 3A