Psicologia di Hitler

Molti psicoanalisti hanno svolto approfonditi studi sull’infanzia di Hitler che hanno portato ad affermare che il Führer fosse stato pesantemente condizionato dalle questioni familiari presenti dall’età infantile. La struttura della sua famiglia potrebbe essere messa al pari di un sistema totalitario, il padre è visto come incontrastato ed è spesso violento, mentre la moglie e i figli sottomessi al suo volere. Ciò si riflette nelle leggi razziali, come gli ebrei non avevano via di scampo così anche hitler da bambino. La madre al contrario lo riempiva di un amore malsano, colmandolo di concessioni di cui non aveva affatto bisogno, non ricevendo amore non ha imparato ad amare. Provava nei confronti della madre un affetto morboso che lo hanno portato a sviluppare il Complesso di Edipo, questo comportava due aspetti: attrazione sessuale verso la madre e ostilità verso il padre.
La costante negazione di quest’ultimo hanno creato in lui un vuoto interiore, non sviluppando così una normale capacità di compassione nei confronti della vita umana.
Il meccanismo è in sintesi il seguente: il bambino picchiato, soprattutto nei primi tre anni di vita, prova un sentimento di forte paura e percepisce il genitore come “cattivo” nei suoi confronti; tuttavia poiché le percosse gli sono presentate come “giuste” e comunque somministrate per il suo bene, si crea una forte dissonanza tra la dimensione emotiva (ciò che il bambino sente) e quella cognitiva (come il bambino interpreta la realtà).
Quando aveva solo sei anni, Adolf Hitler soffriva di incubi molto vividi in cui vedeva se stesso cadere in abissi profondi o in cui veniva perseguitato e picchiato fino a desiderare la morte, la diagnosi fu sempre la stessa: necessità di ricovero e trattamento con cui la madre di Hitler, si mostrò completamente d’accordo.
Tuttavia, Adolf non fu trattato, poiché suo padre, non acconsentì.
La personalità che si andò a creare quando Hitler divenne adulto gli rese impossibile apprezzare l’umorismo, sembra che trionfassero le cosiddette “pulsioni di morte”.
Le pulsioni di morte sono una categoria fondamentale di pulsioni che si oppongono alle “pulsioni di vita” e tendono alla riduzione completa delle tensioni, cioè a ricondurre l’essere vivente allo stato inorganico. Rivolte dapprima verso l’interno e tendenti all’autodistruzione, le pulsioni di morte verrebbero successivamente dirette verso l’esterno, manifestandosi sotto forma di pulsione di aggressione o di distruzione.
Dall’analisi caratterologica di Hitler è emerso il quadro di un individuo

introverso, estremamente narcisista, solitario, indisciplinato, sadomasochista e necrofilo (“l’attrazione, la passione per tutto quanto è morto, putrido, marcio, malato, la passione nel trasformare ciò che è vivo in non-vivo; distruggere per il piacere di distruggere”). In diversi resoconti si sottolineano le qualità magnetiche degli occhi di Hitler. Sicuramente questa è una caratteristica ricorrente delle persone particolarmente narcisiste, soprattutto i fanatici hanno spesso una particolare luce negli occhi, che conferisce loro un’apparenza di grande intensità, devozione e trascendenza.
L’unico elemento caratterizzante è la presenza, o assenza, di calore, e tutte le fonti sono assolutamente d’accordo su questo punto: gli occhi di Hitler erano freddi, l’espressione della sua faccia era fredda, non c’era mai in lui traccia di calore o compassione.
Durante la seconda Guerra Mondiale, i servizi segreti americani commissionarono ben due analisi psicodinamiche della personalità di Hitler. Nonostante l’importanza degli esperti scelti, non fu semplice condurre una seria analisi personologica su un paziente che non si è mai incontrato, sebbene tanto noto, ragion per cui non si tratta di documenti del tutto affidabili.
In ogni caso, definirono Hitler uno psicopatico, affetto verosimilmente da schizofrenia paranoide, probabilmente impotente, omosessuale represso e con tendenze suicide (diventate poi realistiche).
Nonostante i vari studi, però, non potremo mai sapere se la presenza dei genitori nella sua vita avrebbe potuto evitare o meno un disastro così triste come l’Olocausto.

Adriana De Bernardo 2Q Classico Cambridge 2.0 – liceo Vico Napoli