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Felicia Impastato, la donna che lottò contro la mafia a testa alta

“Io allora non ne capivo niente di mafia, altrimenti non avrei fatto questo passo”. Così Felicia, nel suo libro “La mafia in casa mia”,  raccontando il suo matrimonio. Un matrimonio voluto per amore.
Felicia nasce a Cinisi nel 1915 da una famiglia umile. Fu una combattente già da ragazza, quando, andando contro la cultura patriarcale del tempo che voleva i figli, le femmine specialmente, del tutto assoggettati ai padri, si rifiutò di sposare l’uomo che suo padre aveva scelto per lei.
Una volta sposata con Luigi Impastato, tuttavia, Felicia dovette scontrarsi con la verità: suo marito era un mafioso, cognato del capomafia del paese, Cesare Manzella. Questo segnò in modo significativo il loro matrimonio, Felicia racconta: “Appena mi sono sposata ci fu l’inferno. Attaccava lite per tutto e non si doveva mai sapere quello che faceva, dove andava. Io gli dicevo: ‘Stai attento, perché gente dentro [casa] non ne voglio. Se mi porti qualcuno dentro, che so, un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre”.
Nel 1948 nasce, intanto, il primo figlio, Giuseppe, detto Peppino, a cui segue Giovanni che, però, muore a soli tre anni, e un altro figlio, che chiamano anch’esso Giovanni. Peppino fra i due figli, sarà quello più sensibile al tema mafioso. Già da bambino, racconta Felicia, pare che sentendo i dialoghi fra il padre e lo zio avrebbe detto, in intimità, alla madre: “Veramente delinquenti sono allora”. Peppino resterà molto colpito dalla morte di Cesare Manzella, ucciso a causa della guerra di mafia che allora era combattuta fra la famiglia dei Greco e quella dei La Barbera. Alla morte del cognato, Luigi Impastato deve affiancarsi al nuovo capomafia, Gaetano Badalamenti. Anche in questo caso, Felicia fronteggerà il marito, perché profondamente insofferente all’amicizia fra lui e il boss mafioso.
Le cose peggiorano quando Peppino inizia a impegnarsi politicamente insieme ad un gruppo di amici, animati da un forte spirito socialista, schierandosi fortemente contro la mafia. Felicia, temendo per il figlio, gli diceva: “Lasciali andare, questi disgraziati”, riferendosi ai mafiosi.
In merito alla pubblicazione di un articolo scritto da Peppino contro la mafia, sul giornale: “L’idea socialista”, Felicia narra:“Fece un giornalino e ci mise che la mafia era merda. Quando l’ho saputo io, salgo sopra e vedo… e dissi: ‘E dai, Giuseppe, figlio, io ti do qualunque cosa se tu mi consegni quel giornalino”. “Tu non lo devi pubblicare quel giornale”, gli diceva Felicia che doveva preoccuparsi di ricomporre una famiglia ormai spaccata in due: Luigi, infatti, aveva cacciato il figlio di casa.
“Lui si affittò una casa,- dice Felicia- ogni mattina gli portavo la biancheria io”. L’affetto di una madre.
Lei cerca sempre di salvaguardare il proprio figlio, specialmente dopo il settembre del ’77, quando il marito resta ucciso in un incidente stradale, anche se si sospetta si tratti di un omicidio. Finchè Luigi era in vita, infatti, Peppino era al sicuro. Questo lo sa bene Felicia che, dopo esser rimasta vedova, teme più di ogni altra cosa per il proprio figlio.
Dopo otto mesi, nel maggio del’78, Peppino viene fatto saltare in aria, alla vigilia delle elezioni comunali, in cui il ragazzo si era candidato.
“Abbiamo fatto un funerale finto. Non c’era niente nella cassa…niente”,  racconta affranta Felicia.
Grande è il dolore della donna e del fratello Giovanni, essi inizialmente si chiudono nel loro
dolore per paura. Poi, la svolta, Giovanni vuole giustizia per il fratello e chiede alla madre di
costituirsi parte civile. Lei racconta, però, che ha paura per l’ultimo figlio che le è rimasto, perciò arrivano a un patto. “Se tu fai parlare solo me, allora è il caso- dice Felicia a Giovanni, ma se tu cominci a parlare, io non mi costituisco parte civile”.

Felicia si costituirà parte civile e dopo anni di lotta accanto figlio, ottiene giustizia per Peppino. Dopo anni, la Commissione Antimafia va a casa di Felicia, lei racconta piena di orgoglio: “Lumia venne qui, con dieci parlamentari […] e portò tanti documenti, di tutto quello che non aveva fatto la Polizia. Polizia-carabinieri, mafiosi e politici erano tutti e tre d’accordo. Adesso, invece, finalmente giustizia è stata fatta.
Felicia è andata contro la società del suo tempo, contro la sua famiglia, contro la paura e l’omertà che lungamente hanno soggiogato i cuori di gran parte dei siciliani.
Fino alla sua morte, Felicia ha lasciato aperta la porta di casa, sempre pronta ad accogliere tutti coloro che volevano conoscere la storia di suo figlio. A tutti i giovani diceva “Tenete alta
la testa e la schiena dritta”.

Mariachiara Grech, Salvatore Elia Mangiapane, Martina Palazzolo, classe IV M