Il dialetto: espressione di italianità

Pensando al nostro Paese ci vengono in mente diverse cose: qualcuno penserà alla pizza e in generale all’ottimo cibo, altri magari ricorderanno le città, con la loro storia e i loro monumenti, ma prima o poi si andranno ad evidenziare non solo la classica contrapposizione nord-sud ma, in generale, la straordinaria moltitudine di persone, tradizioni, dialetti.

In effetti l’Italia, pur avendo la sua lingua ufficiale, si è da sempre distinta per i suoi moltissimi dialetti, frutto della storia dei diversi luoghi e in modo particolare dei popoli che hanno abitato aree specifiche della nostra penisola per un tempo più o meno lungo.

In particolare, si definisce dialetto un “sistema linguistico di ambito geografico o culturale limitato, che non ha raggiunto o che ha perduto autonomia e prestigio di fronte a un altro sistema divenuto dominante e riconosciuto come ufficiale, col quale tuttavia, e con altri sistemi circostanti, forma un gruppo di idiomi molto affini per avere origine da una stessa lingua madre”. Quindi non è affatto giusto che i dialetti siano considerati lingue inferiori o una degenerazione dell’italiano: infatti, quella che oggi conosciamo come lingua italiana non è altro che l’evoluzione di un dialetto, quello toscano, diffusosi e diventato famoso grazie alla straordinaria produzione letteraria che ha caratterizzato quella determinata regione nel Trecento (si pensi a scrittori del calibro di Dante, Petrarca, Boccaccio).

Quindi, visto lo spessore della produzione poetica e l’evoluzione di questa lingua, al momento dell’unificazione d’Italia si decise di adottarla come lingua nazionale. All’inizio non fu facile: ogni regione, ogni paese, ogni comunità aveva un proprio dialetto caratterizzante, ma successivamente, col passare degli anni, le generazioni successive hanno iniziato a prendere sempre più confidenza con l’italiano, a volte staccandosi dalla loro realtà locale. Ciò fu possibile grazie all’insegnamento obbligatorio nelle scuole, ma soprattutto grazie all’avvento sempre più consistente della televisione nelle vite di noi e dei nostri predecessori.

Quanti dialetti distinguiamo in Italia, e quali sono?

Riprendendo dalla definizione, un dialetto è un sistema linguistico di ambito geografico limitato, ma questa limitazione non è precisa: un dialetto può riferirsi a un quartiere, una città, un’intera regione. È praticamente impossibile quantificare e qualificare ogni dialetto locale, ma a livello macroscopico possiamo dire che nella nostra penisola convivono 4 categorie principali di dialetti: i settentrionali (distinti in veneti, a ovest, e gallo-italici, più ad est, dove vissero i Galli contemporaneamente ai Romani), i toscani (in totale 3: centrale, parlato a Firenze; occidentale, parlato a Lucca, Pisa, Livorno; meridionale, parlato a Siena e Arezzo), i centrali (usati nel Lazio del nord, nelle Marche e in Umbria), e i meridionali (divisi in campano, parlato in Abruzzo, Lazio del sud, Campania, parte della Basilicata e nord della Puglia, e siciliano, diffuso in Sicilia, Salento e Calabria).

A questi vanno poi aggiunti i dialetti sardi, istriani e ladini (tipici del Friuli e dell’area delle Dolomiti).

Mappa dei dialetti italiani

Generalizzando, possiamo spartire i diversi dialetti in due grandi gruppi, che geograficamente sono divisi da un confine abbastanza netto collocato all’altezza di La Spezia e Rimini.

Si possono anche tracciare delle caratteristiche specifiche dei due gruppi. Ad esempio, i dialetti parlati a nord di questa linea tendono a contrarre maggiormente le parole, perdendo alcune vocali e consonanti e non marcando le doppie, al contrario dei dialetti meridionali, in cui ogni lettera e suono è più marcato (sentendo la parola “capello” da un lombardo egli la pronuncerebbe “cavel”, invece un siciliano direbbe “capiddu”).

Tuttavia ogni differenza passa in secondo piano: ogni dialetto è uguale agli altri, e ognuno di loro è importante quanto la lingua ufficiale. Ogni lingua è portatrice della cultura, della storia e delle tradizioni del popolo che la parla. Ogni lingua è fondamentale, perché usata per comunicare i sogni, le speranze, ma anche le paure di chi la parla. Per questo ogni lingua deve essere tutelata e protetta, anche se parlata da poche centinaia di persone.

 

di Giulia Grimaldi