L’INFINITO di Giacomo Leopardi
Sempre caro mi fu quest’ermo colle
da cui vedevo molta gente folle
e questa siepe, che da tanta parte
era un modo per starmene in disparte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude
intanto qualcosa mi prude.
Ma sedendo e mirando, interminati
pidocchi su tutti i lati
spazi di là da quella, e sovrumani
mannaggia mannaggia non mi bastan più le mani
silenzi e profondissima quiete
contrastata da un urlo per aver trovato delle monete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
rischiai di andar a fuoco
il cor non si spaura. E come il vento
andai verso un convento
odo stormir tra queste piante, io quello
corro, corro e mi attacco al campanello
infinito silenzio a questa voce
ma lì, in un angolo, un animale feroce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno
gli metto davanti il mio quaderno,
e le morte stagioni, e la presente
lo guardo e mi sembra anche divertente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
mi vien vicino, appoggia la testa
immensità s’annega il pensier mio:
scusate tutti se non vi ho detto addio
e il naufragar m’è dolce in questo mare
mi guarda e si mette a salutare.
Nathan Santilli