Dante, il nuovo film di Pupi Avati

“Conosceva il nome vero di tutte le stelle” questa la frase rappresentativa del film riferita a Dante. Una citazione non affatto casuale, forse la più adatta a raccontare la bellezza della contemplazione sacrale, specialmente se si prende atto che Dante amava volgere lo sguardo alle stelle (ciascuna delle cantiche della Commedia termina proprio con la parola “stelle”).

Il film di Pupi Avati è ispirato ai fatti raccontati dal Boccaccio nel “Trattatelo in laude di Dante”. Boccaccio fu il primo a definire “Divina” la Commedia del Sommo Poeta, a testamento di quanto (e lo si vede anche nel film) questi ritenesse Durante Alighieri un grande maestro e un modello da imitare, non solo nella poesia. Boccaccio vede Dante come un padre, l’unico che gli abbia veramente insegnato ad amare.

L’impresa di riuscire a trasporre le parole in immagini non è atto da nulla, anzi è cosa assai complicata, ma il regista riesce nella sfida adoperando raffigurazioni di tipo propriamente orrorifico, come avviene nella scena cruda del sogno di Dante, in cui Beatrice, coperta solo da un sottile mantello setoso, tenuta in braccio da una creatura umanoide nera e minacciosa, divora a morsi il cuore palpitante dell’Alighieri.

Nel film, la dimensione sublime del poeta si unisce inscindibilmente con la dimensione fisica, carnale, debole della vita nel Medioevo, al di là dall’idealizzazione che si fa di alcuni personaggi di un certo calibro in ambito scolastico e accademico. Sia Dante (Alessandro Sperduti) che Cavalcanti (Romano Reggiani) sono visti come esseri umani: entrambi giovanissimi, il primo più incerto e inquieto, il secondo più esuberante e sagace; la donna amata, Beatrice (Carlotta Gamba), non è immortalata come donna angelica e ineffabile, come vorrebbe l’ottica del Dolce Stil Novo, ma come ragazza fragile e mortale.

La vita di Dante è raccontata mediante successive analessi, secondo la memoria di un Boccaccio (Sergio Castellitto) in viaggio, intento a consegnare un risarcimento da parte della città di Firenze, che aveva esiliato il Poeta, alla figlia di Dante, suor Beatrice (Valeria D’Obici);  dall’incontro precocissimo, all’età di nove anni, con la donna che segnerà per sempre il suo essere, al dolore della morte di lei; dalla battaglia di Campaldino, all’impegno politico da priore; dalle prime opere, alla maturazione poetica della Commedia.

Fra i temi centrali dell’opera cinematografica non ci sono solo l’amore, la poesia, la lotta politica, ma anche  l’amicizia e la povertà. L’amicizia emerge dal rapporto di Dante con Giudo Cavalcanti, rapporto che entra in crisi quando il Sommo Poeta diviene priore di Firenze ed è costretto, in quanto tale, a partecipare all’esilio del caro amico, appartenente a una fazione opposta alla propria; la povertà è evidente sin dall’inizio (come ci si aspetterebbe dal periodo storico), ma viene in superficie particolarmente quando iniziano a scarseggiare cose di cui il Poeta ha bisogno per scrivere, come la carta e l’inchiostro, tant’è che inizia a farlo sulle lenzuola.

Una delle scene più belle del film è quando, dopo la cerimonia nuziale di Beatrice, lo sguardo di Dante e della donna s’incrociano salendo le scale che portano alla camera in cui la Portinari dovrà consumare il matrimonio col suo sposo. La macchina da presa si ferma sull’ espressione assorta dei due che cominciano a recitare, a battute alterne, il sonetto più conosciuto dell’intera letteratura italiana: “Tanto gentile e tanto onesta pare”.

Dopo l’esilio da Firenze, la speranza di Dante è quella di essere eletto Poeta Laureato e di tornare nella sua città colmo d’onore grazie ai suoi scritti.  Una rivalsa intellettuale che non avverrà mai.  L’opera che avrebbe dovuto essere la pietra miliare di questa risoluzione sarà interpretata come “eretica”, segno della limitatezza dei chierici medievali ben messa in luce dalla pellicola del grande regista Avati.

Michelangelo Grimaldi