Il maschilismo annidato nella lingua italiana

In Italia, la discussione sulla correlazione tra patriarcato e femminicidi ha guadagnato, negli ultimi anni, risonanza, evidenziando una problematica sociale profonda e complessa.

La lingua italiana, come molte altre, porta con sé secoli di storia e cultura intrisi di patriarcato. In molti casi, il lessico stesso può sottolineare disuguaglianze di genere. Parole che sembrano neutre in realtà possono veicolare implicitamente un’immagine maschilista. Ad esempio, alcune professioni, quando descritte al femminile, possono assumere connotazioni inferiori, rafforzando stereotipi di genere radicati.

Come può essere maschilista la grammatica? Può esserlo, ad esempio, quando si usa il genere maschile plurale per parlare anche di soggetti femminili o quando si utilizzano parole istituzionali declinate solo al maschile e non al femminile, nel l’importanza attribuita a un termine maschile ma non al corrispettivo femminile. Per esempio: il termine “maestro” indica un’autorità in un determinato campo o una guida spirituale, “maestra” definisce solo l’insegnante di scuola elementare, o anche “Signore”, con il senso di Dio, maestà, notorietà, mentre “signora” indica, a grandi linee, una donna. Da quest’ultimo esempio si evidenzia la correlazione tra la religione cattolica ed il sessismo del nostro idioma; l’influenza della Chiesa cattolica nella formazione della società italiana ha lasciato tracce profonde anche nel linguaggio.
La concezione della famiglia patriarcale cattolica è totalmente riflessa nella nostra lingua, rispecchiando un modello in cui la donna è una semplice deputata alla cura della famiglia ed alle attività domestiche.

Tuttavia, è importante sottolineare che il cattolicesimo non è l’unico elemento responsabile del sessismo nella lingua italiana. La lingua è plasmata da molteplici influenze storiche, sociali e culturali. Alcuni linguisti sostengono che l’origine del sessismo nella lingua risalga a periodi anteriori alla diffusione del cristianesimo, trovando radici nella struttura patriarcale delle società antiche.
La grammatica italiana, con la sua struttura di genere, può anch’essa contribuire a questa dinamica. La tendenza ad associare la femminilità a forme grammaticali che esprimono passività o sottomissione può riflettersi nella percezione sociale delle donne. La lingua, dunque, non è solo un veicolo di comunicazione, ma anche uno specchio della società che la crea, nell’italiano è riflessa tutta la nostra mentalità conservatrice patriarcale che ostacola il raggiungimento di una genuina equità di genere.

Tuttavia, la consapevolezza di questi elementi è essenziale per stimolare un cambiamento culturale. La lingua è dinamica e con una rieducazione sociale, che deve partire dal piccolo della nostra quotidianità fino ad arrivare in ogni struttura sociale ed educativa, possiamo riadattare la nostra lingua e renderla più equa ed inclusiva. Introdurre un lessico più inclusivo e riflettere sulla grammatica in modo da superare stereotipi di genere può contribuire a promuovere una visione congrua della società.

La correlazione tra patriarcato e femminicidi, quindi, non è solo una questione di atti violenti, ma anche di parole che possono perpetuare schemi discriminatori, di semplici gesti a cui magari non prestiamo attenzione, di semplici “battute” come “è una cosa da femminucce “, con accezione a qualcosa di semplice, qualcosa adatto al basso acume intellettuale e di competenza delle donne, secondo la mentalità patriarcale che ancora offusca gli occhi di molti.
La donna è oscurata anche nella cultura scolastica, nella storia; la presenza femminile è sempre tralasciata, sono poche le donne ad essere nominate anche se vi sono state grandi figure femminili, discriminate con una rimozione.
Sfidare il linguaggio e la grammatica maschilisti è parte integrante del processo di creazione di una società trasparente e giusta.
Iniziando da una riflessione critica sulla lingua possiamo sperare di influenzare positivamente la percezione delle donne e di promuovere un cambiamento culturale a più ampio spettro.

Sara D’Annunzio