PRIMO MAGGIO 2021: LA FESTA AMARA DEL LAVORO

PRIMO MAGGIO 2021: LA FESTA AMARA DEL LAVORO

NEGOZI CHIUSI PER SEMPRE E CATEGORIE DI LAVORATORI IN GINOCCHIO PER LA PANDEMIA: COSI’ SI CELEBRA IL LAVORO CHE NON C’E’.

Sono passati più di cent’anni da quando, a Chicago , nella folla che scioperava per ottenere condizioni di lavoro più umane e orari accettabili, la polizia sparò sui manifestanti lasciando a terra molte vittime, tra cui anche tre bambini. Era il 1887, e l’allora Presidente degli Stati Uniti Grover Cleveland decise di adottare il 1 maggio come giorno in cui ricordare la strage di Chicago, aprendo la strada alle altre nazioni, che negli anni successivi riconobbero la stessa data come Festa dei lavoratori.

Un giorno importante dunque, istituito per ricordare a ciascuno di noi che non solo il lavoro è un diritto inalienabile, come recita la nostra Costituzione, ma che tutte le categorie di lavoratori, soprattutto le più deboli, non devono essere sfruttate e sottoposte a condizioni inaccettabili: diritti che spesso sono stati ottenuti con il sacrificio di persone innocenti.

Per questi motivi bisognerebbe celebrare degnamente il Primo maggio ogni anno, ma quest’anno, ancora più che l’anno scorso, nessuno ha avuto voglia di festeggiare, pensando a chi (e il numero è davvero grande) il lavoro lo ha perso o teme di perderlo per sempre, in una lenta agonia che per essere colta ha bisogno soltanto di una passeggiata nelle vie della città.

Le saracinesche abbassate delle piccole realtà commerciali che prima riuscivano a tirare avanti e ora non più si stanno moltiplicando a vista d’occhio; i gestori di bar e i ristoranti ormai sono allo stremo.

Intervistati proprio in occasione del Primo maggio qualche giorno fa  nelle varie trasmissioni televisive, molti ristoratori hanno confessato che non saranno più in grado di riaprire i loro locali quando sarà tutto finito: in questi mesi hanno dovuto pagare gli affitti nonostante non potessero aprire al pubblico, spesso si sono trovati a fare spese e scorte  con la falsa promessa di una riapertura il giorno dopo, salvo poi apprendere dall’ennesimo intervento del premier  poche ore prima che l’apertura era rinviata a data da decidersi.

E non sono i soli: con loro c’è chi lavora nello spettacolo, nei teatri, nelle palestre chiuse ormai da tempo; qualcuno ha avuto l’ardire di chiamarli “servizi” non essenziali, non sapendo, forse, che in quei servizi “non essenziali” qualcuno ha investito la propria vita, i propri soldi, il proprio lavoro; qualcuno viveva di quei servizi “non essenziali” con la sua famiglia. 

E pensiamo anche a tutti quegli operai e dipendenti di aziende private che la notte non dormono più: tra qualche mese è chiaro che molte aziende in ginocchio daranno il via ai licenziamenti, piegate dal crollo delle vendite.

E’ un primo maggio amaro, dunque, che per solidarietà e per rispetto nemmeno chi ha un lavoro si sente di celebrare, limitandosi a sperare nelle parole del Presidente della Repubblica: “Il lavoro sarà il motore della ripartenza”. Perché, senza lavoro, l’uomo non è più un uomo.

 

Lorenzo Passerini