Anatomia di un malato (immaginario) alla Pergola

Uno spettacolo su una vita sprecata tra poltrona, lettino, toilette, clisteri e salassi. Esiste forse una serata meno sprecata di questa? Mi riferisco a “Il malato immaginario ” andato in scena dal 6 all’11 dicembre 2016 al teatro della Pergola e che ha visto il comico Gioele Dix nei panni del (tragi) comico Argante, un vero e proprio “malato immaginario”. Immaginario, proprio così… Perché a ben guardare l’unica malattia di cui egli soffre veramente è una malattia pressoché immaginaria: l’ipocondria. Sotto la candida cuffia a pizzi, nella vestaglia bianca, nelle calze bianche molli sui piedi ciabattanti si trova infatti una forte debolezza e un’incapacità genetica di prendere qualunque tipo di decisione. Sono questi alcuni degli attributi di Argante, personaggio al quale fa da pregnante chiaroscuro (e davvero Molière si deve esser divertito un mondo a tirar fuori tutto ciò) Antonietta, detta anche Tonina, interpretata da Anna della Rosa, una cameriera tuttofare, che il padrone vede peraltro molto spesso come un incubo,onnipresente e impicciona, capace di veder tutto e di tener in mano tutto, anche i destini dei personaggi. Ma Argante è, si sa, malato “immaginariamente”: è malato cioè del vivere, dal momento che si trova in una condizione di profondo disagio esistenziale. Le sue ipocondrie sono tutte paure simboliche: dal timore di perdere gli affetti, alla paura della vita con tutte le sue fatiche e responsabilità. Argante ha creato, come afferma Gioele Dix, “un recinto di autodifesa costruito con le sue malattie […] infatti quando succede qualcosa lui si schernisce sempre: ‘Sono malato, lasciatemi in pace!’” Ma, come sempre, dietro al comico c’è sempre il tragico, o il serio. “La comicità si ciba delle cose più serie..” mi ha confessato dietro le quinte Gioele, in risposta alla mia domanda “Che rapporto vede tra la comicità e il teatro ?” Un Gioele simpatico da morire, gentile e affabile, e soprattutto così poco piagnucolone (a differenza del suo mirabile personaggio)! Ma forse Molière ci aveva visto giusto con questo suo “fustigante sguardo sulle manie”, per citare le sagaci parole di Riccardo Ventrella, responsabile della comunicazione al teatro della Pergola. Avarizia nel darsi per paura del contagio con gli altri, progressivo svuotarsi di attività nell’illusione di vivere per sempre… Parafrasando: criogenesi. Stiamo veramente pensando di farci ibernare per vedere tempi nuovi, magari tra tre o quattro secoli e vincere così ogni ipotetico malanno in vista dell’eternità? Evidentemente poco è cambiato dall’epoca di Molière alla nostra, così piena anch’essa di malati immaginari…O Tempora !O mores!
Chiara Donati 4D