Seconda stella a destra, questo è il cammino…

Tutto è iniziato in quel lontano 1915, quando Robert Innes scoprì che Proxima Centauri possedeva lo stesso moto proprio del sistema di Alpha Centauri. In seguito vennero riportate altre numerose osservazioni, come per esempio che tale nuovo piccolo grande corpo celeste non era altro che una nana rossa o che, per esempio, era anche la stella, da noi scoperta, più vicina al Sole. E poi, che dire? Meno di un anno fa, il 24 agosto 2016, grazie al metodo delle velocità radiali, rivelando le variazioni prodotte dall’effetto Doppler (cambiamento della frequenza o della lunghezza d’onda) nello spettro di Alpha Centauri c, è stata ipotizzata l’esistenza di un terzo pianeta, ben distante dai due che orbitano molto vicino a Proxima Centauri, al quale è stato poi dato il nome di Proxima Centauri b. Quest’ultimo presenta dimensioni troppo elevate rispetto a quelle della stella madre; dunque, verosimilmente, si tratta di un pianeta che non si è formato nella sua posizione attuale, bensì in un altro luogo all’interno del suo sistema e che, solo successivamente, è trasmigrato vicino alla nana rossa. Ed è proprio la sua vicinanza a tale corpo celeste che, se ci riferiamo solo a determinate caratteristiche, potrebbe ospitare, un giorno o l’altro, la vita. Perché? Perché Proxima Centauri b si trova alla perfetta distanza dalla sua stella, che equivale a quella tra la Terra e il Sole. Potremmo anche ipotizzare, dal momento che ancora non sono stati effettuati transiti vicino a questo pianeta e dunque non possediamo dati certi, che potrebbe avere una composizione rocciosa simile a quella della Terra e, se così fosse, potrebbe avere una dimensione superiore del 10% rispetto ad essa. Purtroppo però, essendo Proxima Centauri una nana rossa, è molto più piccola e molto più fredda rispetto al nostro Sole: la posizione di Proxima Centauri b apparentemente non è successivamente vicina alla sua stella per poter esser riscaldata correttamente nel corso di tutto il suo ciclo di rotazione. Ma, allo stesso tempo, si trova anche troppo vicino: Proxima b è così vicina alla sua stella che potrebbe essere in rotazione sincrona, ovvero avrebbe sempre la stessa faccia rivolta verso la nana rossa. Di conseguenza, una parte è sempre illuminata e calda, l’altra sempre oscurata e fredda. Vi sarebbe però la fascia centrale, la zona crepuscolare, che, avendo una temperatura più mite, sarebbe in grado di ospitare una qualche forma di vita. Presupponendo che il pianeta abbia anche un’atmosfera, dal momento che incerti sono anche i dati relativi alla sua condizione atmosferica, lo spazio abitabile sarebbe ancora più ampio. Ma qui nasce un nuovo problema: dal momento che Proxima Centauri è una nana rossa, è molto soggetta ai brillamenti solari, ovvero a intensificazioni luminose che possono durare dai pochi minuti a lunghe ore. I brillamenti sono capaci di spezzare un’atmosfera, per quanto spessa essa sia, e quindi sarebbero capaci di annientare ogni specie vivente su Proxima Centauri b. E’ vero che ciò riguarda le nane rosse solo nei loro primi miliardi di anni e che Proxima Centauri ha già “compiuto” 5 miliardi di anni, ma non è comunque una sua caratteristica da sottovalutare. Comunque, tralasciando tutti i presupposti negativi, sarebbe un grande successo e un grande passo avanti per il progresso scientifico dell’uomo riuscire a raggiungere questo pianeta. E questo, fra un secolo e mezzo, potrebbe non esser più considerato solo un sogno fantascientifico. Infatti secondo uno studio pubblicato sull’”Astrophysical journal letters” potremmo utilizzare come delle vere e proprie vele, grandi quanto 10 campi da calcio, i venti solari, così da poter accelerare e decelerare piccole sonde in modo tale da lanciarle con più precisione possibile verso la loro destinazione. Secondo un progetto ideato da René Heller e Michael Hippke, due studiosi tedeschi, servirà semplicemente allacciare delle sonde, dal peso non superiore ai 10 grammi, al flusso di fotoni del Sole: la spinta iniziale, debole ma capace di raggiungere velocità elevate con il tempo, sarà in grado di spingerle fino ai pressi di Alpha Centauri. Qui, utilizzando “al contrario” i venti dei fotoni solari, le sonde inizieranno a rallentare per poi ricevere un’ulteriore spinta dai fotoni, questa volta aiutata anche dal cosiddetto effetto fionda dato dalla gravità della stella. Quest’ultimo passo sarà dunque decisivo per poter raggiungere Proxima Centauri b. Magari davvero, tra 140 anni, senza calcolare i 4,3 anni che serviranno per poter ricevere il segnale inviato dalle sonde qui sulla Terra, riusciremo a poter studiare questo nuovo pianeta non limitandoci ai soli fotogrammi che vengono scattati quanto una sonda passa vicino a tale corpo celeste: trovata la perfetta forza con cui sfruttare al meglio il flusso di fotoni, una delle sonde, entrata nell’orbita di Proxima Centauri b, potrà esaminarla con tutta quella calma necessaria che gli scienziati, e non solo, cercano da tanto tempo.
Ginevra Comanducci 3C