Tu vuoi dare il via? Non andare via!

Anna Maria Mauceri Boccadifuoco e Roberta Zappalà

Quest’anno abbiamo avuto l’onore di accogliere a scuola Tareke Brhane, un ragazzo di 32 anni, di origini eritree che, raccontando la sua storia, ci ha permesso di catapultarci in una realtà talmente lontana dalla nostra da sembrare irreale. Tareke era ancora minorenne quando qualcuno ha deciso di sacrificarsi per salvargli la vita pur affidandolo a un destino incerto e spesso crudele. “L’Eritrea è un paese stupendo – ha detto Tareke ma, come molte volte accade, la bellezza di alcuni paesi viene distrutta dalla cruda malvagità di chi li governa. Non avevamo nessun tipo di libertà, non avevamo la possibilità di spostarci da una città all’altra e il clima che si respirava era davvero soffocante”. Per questo ha iniziato il suo lungo viaggio, durato 4 anni, continuato poi una volta giunto in Italia e probabilmente non ancora terminato. Sono tanti i ragazzi che, come lui, mettono in gioco la propria vita nella speranza di trovare qualcosa di migliore, pur non sapendo cosa ci sarà ad attenderli. Il viaggio di Tareke non è certo stato come noi potremmo immaginarlo: prima un’accurata e attenta pianificazione durata mesi e poi invece la consapevolezza che l’unica previsione da fare avrebbe dovuto essere che niente sarebbe andato secondo i piani. Tareke ha dovuto attraversare il deserto, abbandonando la madre prima ancora di essere giunto a metà strada e affrontando così tutto unicamente con le proprie forze; consegnato nelle mani della polizia locale, più volte è stato portato in prigioni anguste, all’interno delle quali venivano ammassate centinaia e centinaia di persone, come topi in gabbia. È poi riuscito a scappare verso quella che credeva fosse la salvezza, finendo invece nelle mani di trafficanti che avrebbero gestito la sua vita unicamente in funzione del denaro. La strada era il mare: caricato insieme  ad altri su di un barcone, a causa di un guasto del motore, correndo il rischio di perdere la vita, è stato costretto a tornare indietro. Poi, dopo qualche mese, il secondo tentativo, questa volta giungendo salvi a destinazione. Ma la vita di Tareke è continuata ancora tra mille difficoltà di integrazione fino a quando, dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno come rifugiato politico, ha deciso di ricominciare da zero, qui, in Italia. L’Italia. É da qui che bisogna partire per risolvere la questione dell’integrazione, problematica che nonostante sia tanto discussa, continua a costituire un vero e proprio ostacolo per quelle persone che credono in noi italiani. Ma cos’è l’integrazione? Integrazione è rispetto, amore e attenzione verso il prossimo, a prescindere dalla condizione sociale, dal colore della pelle o dall’etnia. É sacrificio e dedizione affinché nessuno si senta solo ed escluso dalla società; è scambio culturale ed insegnamento reciproco, per migliorare la vita altrui e la nostra, imparando dagli altri ciò che da soli non potremmo apprendere. “Viviamo nel paese in cui, stando ai discorsi di qualcuno, Lampedusa è un villaggio turistico e gli immigrati vengono per rubarci il lavoro – canta Willie Peyote – ma bisogna pensare che se uno che non sa bene la lingua e non ha nessuna conoscenza riesce a rubarti il lavoro con questa facilità ti servirebbe un esame di coscienza – aggiunge Peyote riprendendo le parole di Louis C.K. Le frasi del cantante potrebbero apparire pungenti ma nascondono una verità più grande che forse non vogliamo sentire. Bisogna accettare il fatto che non sempre gli Italiani hanno favorito l’integrazione di persone come Tareke, pensando al proprio tornaconto piuttosto che alla vita altrui e il pericolo più grande è che anche la nuova generazione cresca con questi pregiudizi; è per questo che si deve puntare su di un’educazione volta al rispetto e alla solidarietà. Un obiettivo che si può ottenere solo attraverso la promozione
di incontri formativi e progetti in cui i ragazzi possano entrare in contatto tra loro favorendo lo scambio di idee e di culture. Non un esempio di sporadico buonismo, che talvolta si trasforma in esibizionismo, ma piuttosto un comportamento che deve entrare a far parte del nostro stile di vita e che si può raggiungere attraverso il dialogo. Proprio per questo l’incontro con Tareke è solo l’inizio di un progetto educativo molto più grande che porterà noi studenti a confrontarci tra di noi e con le diverse realtà che ci circondano. Solo così potremo parlare davvero di equità, rispetto e onestà.