75° anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine

Domenica 24 marzo 2019, ancora una volta tutti insieme per non dimenticare il passato.

Il 24 marzo per me, come per molti altri italiani, rappresenta prima di tutto una ricorrenza familiare a cui si prende parte ogni anno per rimarginare la ferita ancora aperta dell’ingiusta morte di un parente che, nel mio caso, combatteva per la patria.

Oggi, nel luogo simbolo della spietata occupazione tedesca, ora Mausoleo in onore delle vittime, si sono unite al dolore delle famiglie alcune tra le più alte cariche dello Stato tra cui Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica che ha deposto la corona di alloro davanti all’entrata. Oltre a lui erano presenti alla commemorazione Virginia Raggi, sindaco di Roma, Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, e Giuseppe Conte, presidente del Consiglio.

L’importanza del ricordo annuale di questo evento nasce soprattutto per sua natura brutale e ingiustificata. Il 24 marzo 1944, dopo l’attentato partigiano di via Rasella in cui morirono 33 soldati tedeschi a causa di una bomba, i comandanti tedeschi decisero di uccidere dieci italiani per ogni caduto tedesco. Furono allora deportate presso le Fosse Ardeatine, antiche cave di pozzolana, 335 persone, in maggioranza prigionieri politici di Regina Coeli e via Tasso, ma anche ebrei e vittime degli episodi di confuso rastrellamento per raggiungere l’alta cifra. Furono uccisi uno alla volta con un colpo alla nuca e sepolti nel labirinto di gallerie, chiuse con diverse esplosioni alla fine dell’eccidio per mantenere l’episodio segreto.

La pozzolana contribuì alla conservazione dei corpi, riesumati solo dopo la fine della seconda guerra mondiale.

E, nella speranza che la storia e gli errori del passato servano a creare un futuro migliore, l’elemento più significativo del memoriale è senz’altro l’iscrizione davanti alle grotte che con freddezza recita: “Qui fummo trucidati vittime di un sacrificio orrendo. Dal nostro sacrificio sorga una patria migliore e duratura pace fra i popoli.”

 

Elena Rita Govoni 3°E