Un detective favoloso! – Racconto

Gelsomino Birichino si annoiava tanto ma non sapeva cosa fare. Abitava in una casa microscopica, senza giardino, solo un parcheggio grigio e triste. Aveva un padre e una nonna, la madre era tristemente morta di infarto.
In quella giornata caotica di Londra arrivò a casa Birichino il giornale del pomeriggio; di solito le notizie erano noiose: un selfie di Fedez, una nuova applicazione dell’Apple, picnic di personaggi famosi… cose così.
Ma invece quella volta era diverso, c’era una notizia interessante, un omicidio in metropolitana. Wow! Subito dopo il giornale arrivò un uomo, si fermò a casa loro per un po’ e disse a Gelsomino che, se si annoiava, i lunedì c’erano dei corsi per fare il detective.
Il ragazzo che si dimostrava il più portato per quel tipo di lavoro poteva lavorare a quell’omicidio. Senza stare troppo a spiegare: Gelsomino vinse ed ebbe l’incarico.
Un mercoledì si ritrovò davanti al corpo di una bellissima ragazza tutta insanguinata. Insieme ad altri due detective guardarono il corpo ma non riuscirono a trovare niente. Purtroppo di indizi non ce n’erano perché l’assassinio era avvenuto ad un’ora di notte e nella sporca metropolitana c’era solo un testimone che, però, non poteva testimoniare un bel niente perché era cieco, sordo e muto. Naturalmente interrogarono anche lui, ma non riuscirono a scoprire nulla con dalle sue risposte!
Non trovarono DNA sul corpo perché scoprirono che l’assassino, furbamente, aveva assassinato la ragazza con dei guanti. Però se li era tolti sempre in metropolitana e con la fretta di uscire, aveva lasciato impronte sulla portiera e sui pali della metro. Trovarono il DNA, lo portarono a fare analizzare e scoprirono, dopo lunghe ricerche, una cosa stranissima…
L’assassino era proprio lui, Gelsomino Birichino. Così Gelsomino fu incarcerato dopo un processo in cui il giudice si era arrabbiato senza motivo e lo aveva condannato subito senza far parlare il suo avvocato, cosa assai strana.
Lo portarono al carcere minorile (Gelsomino aveva 15 anni). Passò un mese in carcere, rimuginando su quello che era successo e pensando che qualcuno avesse usato un trucco per confonderlo. Quindi non sarebbe stata colpa sua, ma non ci avrebbero mai creduto.
Alla fine, dopo un mese, lo fecero uscire perché avevano trovato dei nuovi indizi e lui avrebbe dovuto continuare ad indagare. Dopo poco fu di nuovo su quella sporca metropolitana, davanti al luogo del delitto. Gli altri detective avevano trovato dei pezzi di vetro e mettendoli insieme capirono che erano pezzi di una bottiglia. Sopra a un pezzo di vetro Gelsomino trovò anche delle gocce che scoprì essere delle gocce di una pozione magica.
Purtroppo non c’erano prove per scagionarlo e quindi lo rimisero in carcere con una lunga condanna.
Prima di tornare in carcere, andò a congedarsi da suo padre e da sua nonna e passando per le vie che aveva percorso e ripercorso da bambino, quando giocava libero e felice, vide la casa del giudice che lo aveva processato e, visto che il giudice si era comportato in modo inadeguato durante il processo, si incuriosì ed entrò (era molto curioso, un bravissimo detective!).
Nell’ampio ingresso non trovò niente di strano, nella cucina nemmeno. Allora salì le scale ma sentì un rumore di passi… ma era solo un grosso criceto; entrò nello studio del giudice e sull’enorme scrivania vide delle bottiglie con sopra un’etichetta con su scritto “Formuscambiamus”. Era la sua ultima chance. Portò di corsa la bottiglia al centro scientifico dove analizzarono il contenuto, lo testarono e scoprirono che era una pozione che cambiava per un giorno la persona che lo beveva (la trasformava in un’altra persona). Scoprirono che il giudice l’aveva bevuta (trasformandosi in Gelsomino).
Allora Gelsomino fu liberato, ma il giudice non fu arrestato perché, furbamente, era scappato.
Lo trovarono mille anni dopo in un posto remoto, ma, se era mille anni dopo, possibile avesse qualcosa di magico?
C.M. / Classe IV A – Scuola primaria Villani di Firenze