Sfuggiti alla morte…

Una testimonianza particolarmente sconvolgente, quella dell’oggi 95enne Zdenka Fantlová: aveva solo 20 anni quando fu deportata insieme alla famiglia e ad alcuni amici, e nel 1945 fu l’unica a tornare viva. Tra le ultime sopravvissute alla Shoah, Fantlová racconta la sua storia nel memoir 6 campi una vicenda tragica, che prende le mosse dalla normale vita di una famiglia ebrea della buona borghesia nella cittadina boema di Blatná, nell’allora Cecoslovacchia e oggi Repubblica Ceca, e si trasforma nel più atroce degli incubi del Novecento, la deportazione nei campi di concentramento e di sterminio. Negli anni Trenta Zdenka vive in famiglia come tutte le sue coetanee, studiando, muovendo i primi passi in società, vedendo crescere la sorellina, sognando il futuro e innamorandosi dei suoi coetanei. Ma il primo colpo arriva con le leggi razziali che escludono gli studenti ebrei dalle scuole: per Zdenka, cui manca un solo anno al diploma, è l’inizio di un incubo. E quando il padre è arrestato (per aver ascoltato la Bbc) e l’intera famiglia è deportata e dispersa, Zdenka comincia a lottare per sopravvivere. Il suo percorso è una radiografia tragica del sistema di «genocidio organizzato» del Reich nazista, con i trasporti e i treni della morte, la sistematica denutrizione, le esecuzioni sommarie, la violenza continua in ogni aspetto della vita dei deportati, tra liste inflessibili e stragi improvvisate.Sballottati come oggetti, derubati di ogni bene, sottoposti a vessazioni vergognose,

i deportati del gruppo di Zdenka si assottigliano a mano a mano che passano dalla «città della morte» Terezin al campo di sterminio di Auschwitz, divisi senza un battito di ciglia nelle file di quelli che andranno al lavoro forzato, da una parte, e alla camera a gas dall’altra. Zdenka si attacca a ogni elemento di umanità per non cedere allo sconforto (a Terezin alcuni deportati organizzano un teatro, ad Auschwitz Zdenka riesce a bere alcune gocce d’acqua, a Gross-Rosen i prigionieri sono quasi lieti di poter dormire almeno sul pavimento, cosa che altrove neppure potevano fare) ma il viaggio della morte continua inesorabile, strappando alla ragazza il fidanzato, il fratello, e via via la madre e la sorella, senza nemmeno il tempo di un ultimo sguardo.Mentre i fronti di guerra si spostano sotto la pressione di russi e alleati, i deportati sono trasferiti via via nei campi di Kurzbach, Gross-Rosen, Mauthausen e Bergen-Belsen, in un crescendo di atrocità. Nei 6 lager che attraversa, davanti agli occhi di Zdenka compaiono mostruosità difficili da riportare — a Mauthausen i deportati vedono strani massi accanto alla carreggiata e una guardia dice loro sogghignando: «ogni pietra, una testa» — mentre il precipitare della guerra rende i carnefici ancora più spietati. Nell’ultima tappa, dopo una marcia forzata di giorni, senza scarpe, con abiti leggeri nell’inverno del Nord, nessuno dei superstiti è più in grado di alzarsi,nemmeno Zdenka.Quando arrivano gli inglesi a liberarli, molti prigionieri muoiono ugualmente, vinti dalle malattie e dalla fame: Zdenka resterà incosciente per giorni, prima di riprendersi. E scoprirà che tutti i suoi parenti, amici, conoscenti, compagni di scuola, amori, e quasi tutti i compagni di quell’ultima marcia forzata, sono stati inghiottiti dai lager.