Metà indifferenza e metà cattiveria

Di colpo, in piena notte, mia madre mi sveglia sventolandomi davanti agli occhi una mascherina e dicendomi “dai su muoviti che partiamo tra 10 minuti”

“maaaa lo sai cosa penso delle mascherine”

“sì ho capito, ma nonostante tutto le indossa la maggior parte della gente, quindi poche storie”.

A quel punto, chiesi perplesso “dove andiamo?” Lei fece finta di non sentire e così partimmo. In macchina c’era un’atmosfera da brividi, si percepiva nettamente il senso di paura misto ad ansia e inadeguatezza; c’era mio fratello che agitava convulsamente le mani per aprire un pacchetto di fazzoletti, mia madre, al volante, che cercava di nascondere la sua preoccupazione con pessimi risultati e mio padre ancora un po’ addormentato, ma si notava in lui un forte senso di tristezza. Improvvisamente mia madre esordì, con uno scarso tentativo di tono solenne, “alla luce dei fatti riguardanti il virus, abbiamo deciso di andare a stare dai parenti in Svizzera”. Normalmente prima di partire soleva il rito della lettura da parte di papà di tre frasi ad effetto sul viaggio, ma questa volta lui non lo fece forse per la situazione o forse perché si era dimenticato. Tutto questo contribuì ad aumentare l’angoscia che si era diffusa e aleggiava in macchina. Il resto del viaggio passò in un silenzio pesantissimo che per poco non mi rese pazzo. Per fortuna o purtroppo siamo partiti prima del picco di contagi quindi non abbiamo avuto problemi a raggiungere Lugano. Tutto sommato la prima settimana passò tranquilla, senza nessun evento importante. Ma la settimana successiva fu un inferno terrestre: i contagiati aumentarono e iniziò la quarantena, durante la quale non potei fare niente al di fuori di leggere e riflettere a ripetizione all’infinito senza un orizzonte, senza una metà visibile. In questi miei lunghi pomeriggi iniziai a pensare e ripensare ad una frase letta nel libro di Saramago “Cecità”, in cui si dice “l’uomo è metà indifferenza e metà cattiveria”. Questa frase mi martellava in testa senza tregua e più ci pensavo e più mi trovavo d’accordo, io non riuscivo a crederci: fino a quel momento avevo visto l’umanità come troppo evoluta per provare indifferenza e cattiveria, e ora tutte le mie certezze mi crollavano addosso. Rimuginavo che fino a qualche tempo fa, quando il virus era solo in Cina, si scherzava e si rideva, invece adesso si soffre tremendamente perché a causa dell’indifferenza non ci siamo accorti del pericolo, se non quando si è avvicinato così tanto che anche un cieco lo avrebbe visto.

Un giorno mi ammalai e fui subito isolato da tutti e da tutto, finii in un ospedale con altri malati e mi rifugiai sempre di più nei pensieri, ma non quelle riflessioni che portano ad una conclusione, anzi più ci pensavo e più mi chiudevano in me stesso deprimendomi attanagliato da essi, un po’ come capita con le sabbie mobili: più cerchi di liberarti più sprofondi e ti imprigioni da solo. La mia depressione toccò livelli estremi e quasi mi condannò alla morte, ma trovai un appiglio insperato tra le mie riflessioni, io dovevo vincere la malattia non solo per me, ma per tutta la mia famiglia, io non potevo rimanere indifferente a quello che sarebbe toccato a loro se mi fossi lasciato andare. Perché è egoista credere che la nostra vita non influenzi altri, perché noi siamo gli altri.

Classe 3B