Dantedì: perché proprio il 25 marzo?

Il 25 Marzo, data individuata dagli studiosi come giorno di inizio del cammino dantesco, sarà celebrato il Dantedì. La giornata è stata istituita a livello nazionale dal Consiglio dei Ministri, in onore del 700esimo anniversario dalla morte del Sommo Poeta; nonostante le restrizioni in corso in tutto il Paese a causa del Coronavirus, il MIUR e il MiBACT insieme a scuole, musei, biblioteche, archivi e luoghi culturali proporranno sui social immagini, video, opere d’arte e rare edizioni della Divina Commedia. Anche la RAI ha pensato ad un palinsesto speciale che offrirà lecturae Dantis interpretate dai maggiori artisti del nostro tempo, oltre ad una serie di programmi a tema.
Ma perché leggere Dante oggi, nella situazione di clausura e crisi eccezionale che ci troviamo ad affrontare? Può un fiorentino del XIV secolo aiutarci a combattere la solitudine della quarantena?
I tempi in cui Dante viveva d’altra parte non erano certamente meno turbolenti; la sua era un’epoca di rottura delle vecchie istituzioni, in cui l’impero e la Chiesa venivano piano piano sostituite da nuove forme di governo (comuni, repubbliche, signorie). Così, dinanzi ad un mondo che andava a pezzi, Dante insieme ai suoi contemporanei si è trovato perso “in una selva oscura”, ma invece di disperarsi e annichilirsi si è chiuso in sé e con un foglio di carta ed una penna ha iniziato un viaggio interiore in nome di tutta l’umanità. Infatti la Divina Commedia può essere letta come un cammino dell’Io, ovvero della coscienza attiva – quella che parla, che sente, che legge e che pensa (il dante agens)- nell’inconscio collettivo, definito dallo psicanalista Carl Gustav Jung come un mare mentale in cui è immersa la nostra psiche e che ci permette di accedere al bagaglio esperienziale comune a tutto il genere umano; per così dire, una sorta di database in cui si conservano nozioni sull’umanità definite dal passato e dal presente della stessa.
Dante, ovvero l’Io, inizia il suo percorso nelle parte più infima di ogni individuo, là dove risiedono le pulsioni più arcaiche e istintuali, le esperienze più insopportabili e pertanto rimosse: L’inconscio profondo, l’Inferno intimo dell’uomo. La selva rappresenta un terribile stato di smarrimento che sopraggiunge con la consapevolezza della condizione effimera dell’esistenza; quella che fino ad allora era stata la realtà di Dante viene messa in discussione dal progresso storico, come oggi la nostra quotidianità è minacciata dall’emergenza del covid19. Si presenta dunque la necessità di trovare una bussola che ci orienti verso la luce alla fine del tunnel e quella bussola il celebre poeta fiorentino la trova in Virgilio, la ragione. Grazie infatti alla ragione possiamo mettere a tacere le nostre paure, che per prime appaiono al presentarsi del pericolo (come le tre fiere compaiono ai piedi del colle) e intraprendere quel cammino che porti all’individuazione del Sé, la dimensione trascendente dell’essere umano, da cui hanno origine tutte le arti, gli slanci altruistici e le qualità più sublimi, le stesse che costituiscono l’humanitas ciceroniana.
Così Dante attraversa l’Inferno, facendo i conti con i propri difetti, raccontati attraverso i miti e le cronache contemporanee: Paolo e Francesca narrano il suo amore carnale per Beatrice, Farinata degli Uberti la sua passione politica, ispirata da fermi ideali, Pier della Vigna la miseria e la vergogna dell’esilio e Ulisse la sua sete di conoscenza. Quando esce “a riveder le stelle” è pronto ad affrontare il Subconscio, ossia il Purgatorio, dimensione psichica strettamente legata alla vita terrena, al passato più prossimo e al presente in atto, dove ogni informazione archiviata può essere recuperata e rielaborata. Inizia dunque un processo di purificazione, che sfida il male in nome di un bene superiore, ancora invisibile, ma tangibile nella speranza di tutti i purganti; già qui la figura della ragione (Virgilio) inizia a traballare, perché la montagna del purgatorio è un terreno sconosciuto, è l’oggi mutevole, dove la voce della mente conserva il dubbio dell’esperienza in divenire.
“Leva”, diss’io, “maestro li occhi tuoi:
ecco di qua chi ne darà consiglio,
se tu da te medesmo aver nol puoi”
(vv. 61-63, III Purg.)
D’altra parte la ragione ha i suoi limiti, che la porteranno ad abbandonare l’Io nel suo viaggio alle porte del Super conscio, il Paradiso, dove risiede il Sé; infatti la Bellezza, la Fede, la Speranza e l’Amore non fanno parte dell’area di competenza dell’intelletto, ma tutte e quattro sono essenziali per la sopravvivenza dell’individuo e costituiscono un organicità presente nell’interiorità di ogni essere umano. Adesso che siamo chiusi in casa e che il virus non ci permette di camminare per i centri storici, passeggiare nei parchi dove sta sbocciando la primavera o ammirare le opere custodite nei musei, abbiamo bisogno di trovare tale insieme di bellezza, speranza e amore non un passo aldilà di noi stessi. Ma come possiamo fare?
La strada non è oscura, poiché Dante l’ha già percorsa: avendo guardato negli occhi la sofferenza, essendosene preso la responsabilità, egli è “Puro e disposto a salir le stelle”. È pronto a librarsi al di sopra del suo passato e del suo presente per assumere una visione globale, armonica e consapevole del mondo di cui fa parte, di cui facciamo parte; così quando dinanzi gli appare la candida rosa e una “acuta luce” cattura il suo sguardo non può non osservare nel profondo di Dio. E qui, nella dimensione eterea e trascendente dell’inconscio, egli vede l’intero universo squadernato, ogni membro che nel presente gli sembrava slegato, sconnesso e senza senso, è ora rilegato in un unico volume. Inoltre, compresa l’unità dell’essere e del creato, si spinge più a fondo e scorge un volto d’uomo, in cui si riconosce.
Dentro da sé, del suo colore stesso
mi parve pinta de la nostra effige
per che’ l mio viso in lei tutto era messo.
(vv. 130-132 XXXIII Parad.)
Elevatosi dunque sopra ogni aspetto personale, giunto nella dimensione più pura del mare magnum dell’inconscio collettivo, Dante ha ritrovato sé stesso e ha scoperto che ciò che governa lui, tutta l’umanità e l’intero cosmo è l’Amore. Quest’ultimo non è lo stesso sentimento che proviamo per il/la nostr* compagn* di classe, ma è un sentimento sublime che equilibra la complessità dell’essere e che lo ha accompagnato per tutto il viaggio, rivelando la sua presenza negli astri del cielo; tant’è vero che ogni cantica si conclude con la parola “stelle” ad indicare l’imperituro contatto con la forza eterna dell’Amore, comune ad ogni essere vivente.
Insomma, per compiere il viaggio più famoso di tutto il mondo, Dante non si è mosso di un millimetro. Sicuramente però non è stato semplice, infatti più si avvicinava al Sé, più tradurre in parole la propria esperienza si rivelava arduo ed è per questo che spesso il Paradiso viene percepito come mera “filosofia messa in versi, pedantesca e didascalica” (come sostenne il critico romantico Benedetto Croce ); d’altra parte lo stesso Dante ha dovuto abbandonare la ragione per comprenderlo, come possiamo dunque noi pretendere di capirlo con schematizzazioni e riassunti?
È necessario comunque almeno intuirne il messaggio principale, per far sì che Dante e la sua Commedia possano ancora rivelarsi uno strumento per affrontare il presente : ogni individuo fa parte di un movimento armonico universale, in cui si alternano bellezza, sofferenza, speranza e dolore, ma al di sopra del quale vi è l’Amore a tirare le fila.
Alessia Priori / Liceo Classico Galileo di Firenze