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Sostenibilità e agricoltura: 10 domande al Dott. Lanzarini

Pierpaolo Lanzarini ha conseguito la Laurea in Scienze Naturali presso l’Università degli Studi di Bologna. Per due anni è stato direttore del Parco Regionale del Corno alle Scale; dal 2004 al 2014 ha ricoperto la carica di Assessore all’ambiente del Comune di Sasso Marconi. Dal 2003 pratica agricoltura e allevamento biologico, diventando nel 2014 presidente dell’associazione Campi Aperti, di cui ora è il vice-presidente.
Segue intervista in merito alla sostenibilità agricola e al processo di produzione nella filiera alimentare.

Come può una famiglia comune diventare più sostenibile per quanto riguarda il cibo?

Concretamente si tratta di fare delle scelte di consumo poiché tutto quello che passa attraverso la produzione industriale è un processo che genera un elevato quantitativo di sprechi, costituito da una serie di passaggi che portano ad uno spreco alimentare complessivo di circa un 50%-60% (vale a dire 100 kg prodotte in campo di cui ne vengono consumate correttamente solamente 40 circa).

L’interfaccia tra il processo industriale e la nostra vita sono i supermercati, dunque la prima scelta da prendere è quella di evitare il più possibile di acquistare prodotti nei supermercati. Non potendone purtroppo fare completamente a meno, la scelta deve ricadere sull’acquisto di prodotti meno processati possibile, poiché tutti i prodotti che richiedono molteplici passaggi produttivi aumentano lo spreco alimentare, portandosi dietro uno zaino ecologico molto pesante. Una famiglia inoltre può rivolgersi a un percorso di filiera sempre più corto tra produzione e consumo, ciò significa acquistare prodotti di mercati locali, botteghe e i gruppi di acquisto solidale.

Si può anche decidere di alimentarsi solamente con prodotti biologici di produzione secondo le leggi e le norme. Tuttavia un metodo alternativo per ridurre lo spreco alimentare e quindi diventare più sostenibili, è ricorrere alla produzione autonoma di alcuni alimenti, in particolar modo vegetali.

Come funziona l’agricoltura biologica?

Il principio cardine dell’agricoltura biologica è il governo della sostanza organica nel terreno, per questo uno degli aspetti più importanti della produzione agricola è la salute del suolo, che ha come principio fondamentale il contenuto di sostanza organica in esso. Ciò significa che il terreno deve essere vitale perché trattenga tutti i nutrienti, ma è anche il luogo in cui si sviluppano una serie di processi naturali che servono allo sviluppo vegetale. In queste condizioni il terreno è un luogo ricco anche di esseri viventi come insetti e vermi, che all’interno del suolo generano una serie di processi vitali che trasformano la sostanza organica rendendola disponibile per i vegetali.

Un altro concetto cardine dell’agricoltura biologica è l’eliminazione degli input sintetici, il che vuol dire che non è permesso l’utilizzo di pesticidi o concimi di sintesi; dunque gli unici prodotti che si possono usare devono essere provenienti dalla natura, come per esempio estratti di piante che lavorati diventano pesticidi naturali. Per il resto tutto si basa sulla gestione e programmazione della produzione per prevenire le malattie delle piante: quindi queste devono essere più diradate per far sì che non si sviluppino muffe, utilizzare i sovesci invece che la coltivazione, arature più profonde e minor copertura del suolo per far sì che le sostanze si ossidino. Un altro fondamentale passaggio che costituisce l’agricoltura biologica è la rotazione frequente delle colture per permettere al terreno e che non vengano sviluppati patogeni.

Mentre la gestione degli allevamenti biologici prevede il pascolo dell’animale come elemento di salute per il loro benessere alimentare e il rafforzamento delle sue difese immunitarie.Tutto questo è citato all’interno di disciplinare derivante da una normativa europea traslata in differenti leggi italiane.

Quali sono i limiti dell’agricoltura biologica?

Uno dei limiti è senza ombra di dubbio la minor produttività per ettaro, ciò significa che questo tipo di agricoltura non ottiene, per ettaro, la stessa resa di quella tradizionale; uno dei motivi dietro ciò è sicuramente la rotazione delle colture ma, ovviamente, non dipende solamente da questo. Il discorso riguardo la produttività è molto interessante, perché in realtà non si ha un vero bisogno di ottenere una resa così elevata; già ora la produzione agricola mondiale sarebbe sufficiente a sfamare 12 miliardi di persone circa. Ciò che è interessante è che quando si dice di voler aumentare la produzione si parla di ridurre il costo della materia prima, poiché, all’aumentare della produttività si ha una riduzione del costo per unità di prodotto, in altre parole, chi guadagna sulla trasformazione di quel prodotto paga meno la materia prima ottenendo perciò un maggior ricavo alla fine del processo. Come detto in precedenza, dal punto di vista delle quantità complessive prodotte, non si ha ragione di aumentare la produzione, anzi, si potrebbe addirittura diminuirla per far in modo di ridurre l’esigenza degli input in quest’ultima. Ora come ora, secondo i dati FAO, si produce una volta e mezzo ciò che sarebbe realmente necessario. Questo eccesso produttivo si trasforma in uno spreco alimentare enorme a livello globale, ma se si adottasse un’agricoltura di tipo biologico sarebbe possibile evitarlo. È già stato dimostrato che il biologico potrebbe ampiamente soddisfare le esigenze della popolazione mondiale, considerando che ora il 70% della popolazione viene nutrito solo con il 25% delle terre; basterebbe perciò dedicare un 20%-30% di terre in più alla produzione biologica per riuscire a sfamare tutti.

Quali sono i vantaggi dell’agricoltura biologica?

I vantaggi sono enormi sia dal punto di vista ambientale che da quello della salute pubblica. Guardando i dati rilasciati dall ISE, i quali riguardano l’impatto sanitario della produzione agricola, si vedono delle curve abbastanza preoccupanti; soprattutto nel loro svilupparsi in armonia, nella corrispondenza tra l’aumento di alcune sostanze in agricoltura e l’aumento di patologie nella popolazione umana, come: tumori, malattie neurodegenerative e autoimmuni.  è stato scientificamente provato che, per esempio, l’aumento dell’autismo è legato all’aumento di glifosate, ovvero un diserbante.

Per quanto riguarda i vantaggi dal punto di vista ambientale, ridurre gli input sicuramente ridurrebbe la perdita di biodiversità e di qualità ambientale complessiva ai danni di diverse matrici come: suolo, acqua, aria.

Molto interessante è la correlazione tra polveri sottili e liquami. Uno dei motivi dietro l’aumento di queste è legato allo smaltimento dei secondi, i quali sono prodotti negli allevamenti industriali. I liquami contengono grandi quantità di azoto e quando vengono sparsi sul terreno, se non vengono subito interrati, rilasciano ammoniaca, una sostanza che mette in atto dei processi chimici, attraverso i quali viene prodotto biossido di azoto; quest’ultimo andando nell’atmosfera si ricombina per effetto della luce solare, producendo così le polveri sottili. Nel biologico, sebbene sempre presenti, questi effetti sarebbero ridotti.

Invece, riguardo agli svantaggi, se ne ha solo uno: il costo. Sebbene questo sia più un problema di natura commerciale, rende impossibile per la maggioranza dei consumatori usufruire dei prodotti biologici.

Quali sono i requisiti per far sì che un prodotto venga etichettato come biologico?

Un prodotto affinché venga classificato come biologico deve essere prodotto secondo i disciplinari, un sistema di garanzia che oggi è basato su enti certificatori, quindi un ente terzo certifica il fatto che il produttore abbia rispettato i disciplinari e non abbia usato prodotti di sintesi, tecniche non compatibili, abbia garantito la rotazione delle colture e che nel suo allevamento non siano presenti più animali per metro quadrato di quelli che dovrebbero esserci. C’è un individuo che garantisce questi fattori e certifica che una determinata azienda rispetti il disciplinare. In seguito vengono svolti dei prelievi a campione, e si verifica che uno specifico prodotto sia rispettoso dei disciplinari. Poi nella trasformazione devono essere certificate anche le aziende che contribuiscono alla trasformazione del prodotto, ad esempio l’azienda alimentare che prende la zucchina e ne fa il passato di verdura in busta biologico deve avere una serie di requisiti che vengono certificati dall’ente certificatore e che attesta che quell’azienda non ha utilizzato additivi che non sono ammessi nell’agricoltura biologica o che non ha mescolato prodotti biologici con prodotti non biologici.

I prodotti biologici nei supermercati lo sono davvero?

Si, ci sono diversi aspetti; uno è la truffa: ci sono quelli che truffano e sono delinquenti, falsificano le carte, si fanno pagare per dire il falso, oppure il controllo viene fatto su un prodotto e poi ne viene venduto un altro. Dopodiché c’è invece una parte che si attiene alle deroghe rispetto ai disciplinari, per esempio c’è una deroga per quanto riguarda gli OGM, infatti si è detto che per evitare che tutto il biologico venga declassato, si deve accettare che una parte venga inquinata da prodotti OGM, per inquinamento volontario o perché geneticamente viene trasportato del materiale che inquina dal punto di vista genetico; si dice che se c’è un inquinamento inferiore allo 0,9% di prodotti OGM all’interno di una produzione biologica, questa viene considerata biologica.

Le scelte del consumatore hanno realmente un effetto positivo sull’ecosistema o dovrebbero essere le case produttrici le prime ad agire?

Sicuramente le aziende produttrici faranno sempre il loro profitto, quindi se trovano da vendere continueranno a farlo. Alcune persone preferiscono comprare prodotti biologici e perciò vi è richiesta; se questa richiesta non ci fosse, non ci sarebbe l’offerta di prodotti ecosostenibili. La rivoluzione certamente parte dal lato del consumatore, delle persone che acquistano un determinato prodotto, quindi spetta al compratore avere coscienza nella scelta della salute ambientale, e quindi nell’acquisto di prodotti ecosostenibili.

Dal punto di vista del packaging dei prodotti alimentari è possibile essere ecosostenibili?

Ѐ possibile rifiutando “l’usa e getta”; la plastica per quanto possa essere riciclata o compostabile rimane un problema, qualsiasi prodotto che viene usato per confezionare richiede a monte un consumo di energia per produrlo e richiede ulteriore energia per riciclarlo. Inoltre il principio di compostabilità dei materiali non prevede un degrado a livello di materia organica essenziale, ma solo una riduzione delle loro dimensioni in modo che passino attraverso un setaccio, producendo le microplastiche che finiscono per essere sparse nell’ambiente e nel mare. Sicuramente è essenziale il riutilizzo dei contenitori e la riduzione degli imballaggi, e anche in questo caso si passa dalle scelte dei consumatori. Proprio per questi motivi bisognerebbe ridurre al minimo la spesa nei supermercati, dove ogni cosa che si compra è contenuta in qualche genere di imballaggio.

La nostra alimentazione mediterranea può diventare sostenibile al 100% o bisognerebbe orientarsi verso altre diete?

Sicuramente è un argomento che al suo interno presenta molte variabili complesse, come il consumo che una persona fa di un determinato alimento, chi produce l’alimento, come viene procurato il prodotto ecc.; è certo che tutti dobbiamo ridurre il consumo di carne e di derivati animali. Inoltre è molto consistente lo spreco di calorie che avviene dal campo alla tavola per via della trasformazione delle proteine animali, soprattutto nelle filiere industriali. Un altro punto che gioca a sfavore del consumo di prodotti animali sono gli allevamenti intensivi, che abbattono i prezzi per il consumatore, ma che recano un grande spreco e danno all’ambiente e agli animali stessi; sarebbe opportuno infatti ritornare alla vendita diretta che ridurrebbe sprechi e consumi e che incrementerebbe la qualità del prodotto e la qualità di vita degli animali, anche se ci sarebbe inevitabilmente un aumento del prezzo per il consumatore. Si dovrebbero quindi consumarne un po’ meno carne e derivati, e spendere qualche euro in più per un prodotto derivante da un allevamento estensivo. Rendere la nostra alimentazione sostenibile al 100% si può, ma anche in quel caso bisognerebbe autoprodursi le materie prime e verificare anche il metodo di produzione delle stesse.




Michela Rossi, Giorgia Atti, Greta Chiapelli,
Carlotta Franchini, Ambra Luongo