La pallavolo ai tempi del coronavirus

Con la ripartenza della Serie A e Serie B il calcio italiano ha trovato una nuova normalità, nel rispetto delle norme sul distanziamento e dei protocolli sanitari. Ma è il primo e finora unico sport ad aver trovato un equilibrio che si può definire tale. Tutti gli altri – che non vivono nella bolla del calcio, con i suoi numeri e i suoi standard – sono ancora in fase di riprogrammazione dopo l’impatto della crisi economica dovuta al lockdown.

Anche i campionati più solidi e strutturati, come la Pallavolo ed il Basket, hanno accusato il colpo; nei bilanci delle società di queste Leghe, le sponsorizzazioni da sole rappresentano circa i tre quarti del totale, perché altre voci come i diritti tv sono solamente un corollario.

Dipendere così tanto da aziende esterne che immettono liquidità nelle casse societarie e arrivano ad affiancare i loro nomi a quelli dei club è un elemento di fragilità in questa situazione di stress economico. Perché le aziende che sponsorizzano gli sport “minori” (inteso solo in termini di visibilità e di peso economico) spesso sono medie o piccole imprese, che a loro volta sono impoverite dalla crisi, e chissà se in futuro potranno permettersi di investire in qualcosa che non è la loro sopravvivenza.

Il caso della pallavolo è simbolico. L’Italia è uno dei paesi più costanti in termini di talenti prodotti e risultati internazionali raggiunti: gli Azzurri sono sempre stati nelle prime cinque posizioni ai Giochi Olimpici dal 1992 ad oggi.

Inoltre la Fipav è la seconda federazione del Coni con più iscritti dopo quella calcistica. Ma le gravi perdite dovute a un’improvvisa carenza di entrate dalle sponsorizzazioni stano decimando i budget dei club.

Anche le società più titolate d’Italia hanno difficoltà nello stanziare il budget per la prossima stagione e nel convincere a restare in squadra i migliori giocatori, come ad esempio il capitano della nazionale Ivan Zaytsev.

Al momento alcuni campionati sperano di trovare un supporto nel governo. È nato così il “Comitato 4.0” che rappresenta diverse leghe italiane – Lega Basket Serie A maschile e femminile, Lega Pallavolo maschile e femminile…– e che con il supporto di avvocati e commercialisti ha elaborato alcune proposte per salvaguardare lo sport.

In particolare il comitato ha chiesto al governo di introdurre incentivi sulle sponsorizzazioni alle società professionistiche e dilettantistiche: opzione necessaria per salvare le piccole e medie società sportive, le più colpite dal blocco delle attività.

Mentre gli sport, o lo sport italiano più in generale, cerca una soluzione ai suoi problemi, chi vive di e con lo sport inizia ad accusarne le conseguenze. Vale soprattutto per gli atleti non riconosciuti come professionisti, che nella maggior parte dei casi sono giocatori che lavorano e vivono con lo sport, si dedicano solo a questo, ma legalmente non sono professionisti.

Colpa di un sistema che ha scelto di mantenere i parametri del dilettantismo, per ovvi vantaggi sulle spese, ma che diventa insostenibile in situazioni come quella attuale. Perché gli atleti, come i preparatori, gli scout e gli allenatori, non sono coperti dalle tutele degli sportivi professionisti. Ovviamente, dal discorso vanno chiaramente esclusi tutti gli atleti d’élite che possono diversificare i propri guadagni con sponsorizzazioni e investimenti, indipendentemente dalla disciplina.

Per quanto sopra, occorre una strategia di rilancio; questa deve essere anche un’occasione per pensare in positivo e immaginare un futuro diverso per lo sport, riprogrammando l’intero sistema. Occorre una riflessione congiunta fra tutti i soggetti, imprenditori, atleti, dirigenti. Nella situazione attuale, parlo soprattutto della pallavolo, ma non solo, o si sceglie dichiaratamente il dilettantismo, quindi chi gioca si allena la sera e fa un altro lavoro, a discapito della qualità dello sport e dello spettacolo della pallavolo italiana. Oppure si investe per dei cambiamenti strutturali che sono più che mai necessari.

Cosa può fare lo Stato? Deve farsi carico di una defiscalizzazione per le aziende che permettono materialmente di mandare avanti la pratica sportiva. Poi si può pensare di dare dei bonus alle famiglie e a chiunque scelga di fare sport. Non sono favorevole alle misure assistenziali però magari, in mezzo a tutti questi bonus, non sarebbe male farne uno sull’attività sportiva, che di per sé è anche un investimento di lungo periodo, in termini culturali, sanitari, economici.

Al di là dell’aspetto economico, quindi, in un periodo tanto difficile anche lo sport, che a noi giovani appare come un momento di svago e divertimento per “evadere” dai problemi, diventa sempre più complicato e pieno di variazioni.

Quello che poteva essere un attimo di normalità all’interno di tanta stranezza e difficoltà è invece risultato uno dei maggiori esponenti del rischio. Qualsiasi tipo di sport, da contatto e non, è infatti stato dichiarato pericoloso per la grande difficoltà nel mantenimento delle distanze previste dalle norme di sicurezza.

La pallavolo in particolare era stato considerato, in principio, uno tra i più rischiosi sport da contatto e solo in seguito queste considerazioni erano cambiate; ad ogni modo ciascuno sport, più o meno rischioso, si è trovato a dover affrontare diverse variazioni sia per quanto riguarda le regole di gioco sia per quelle che sono le abitudini delle diverse società sportive per far fronte alle nuove misure di sicurezza.

La Federazione Italiana Pallavolo, in base al DPCM del 13 ottobre, ha aggiornato il protocollo di ripresa degli allenamenti, adeguandolo in base alla realtà contingente: è stato, ad esempio, inserito il ricorso ai tamponi rapidi laddove richiesto e altre azioni che hanno l’obiettivo di rendere il più semplice possibile l’attività delle società e dei vari comitati impegnati.

Ma, diciamocelo apertamente e francamente, palleggiare mantenendo la distanza e lavandosi le mani con il gel disinfettante ogni volta che si tocca la palla, è il volley all’epoca della pandemia del coronavirus, nel rispetto delle normative sanitarie vigenti, ma certamente non è lo sport che mi appartiene, che ho praticato fin da bambina e ho sempre sognato!

Federica d’Aloia