L’evoluzione del modello familiare

Partendo dal concetto di humanitas “ciò che è proprio del carattere e del comportamento della persona umana”, che andrà poi a manifestarsi e diramarsi in base ai vari autori latini in maniere differenti, introduciamo un elemento fondamentale di civiltà e benevolenza verso gli altri… nonché linea essenziale degli intrecci latini.

Negli intrecci sopra nominati, dove lo schema tipico era basato su intrinsechi stereotipi, troviamo un Terenzio per cui la realtà è troppo complessa e sfuggente per venir racchiusa in schemi rigidi e assoluti e quindi porge l’invito pubblico alla riflessione di quelle che sono le complessità delle relazioni interpersonali;

Homo sum: humani  nihil a me alienum puto.

Sono un uomo: niente di ciò che è umano considero estraneo a me.

 

Questo modo di prospettare i rapporti sociali e interpersonali era sicuramente nuovo e anticonformistico a Roma, rispetto alle consuetudini, alle convinzioni e ai pregiudizi correnti; cordialità, gentilezza e delicatezza risultano un passo decisivo al processo di trasformazione della commedia attribuendo dignità pari ai personaggi e attenuando il conflitto generazionale.

Il problema dell’educazione dei figli è approfondito negli Adelphoe

( commedia in cui Terenzio si interroga su quale sia la miglior forma di educazione dei giovani, presentando due fratelli, Micione e Demea, che hanno allevato i loro due figli in modo opposto).

C’è comunque da aggiungere che Terenzio non rifiuta in maniera netta e decisa la tradizionale patria potestas, ma indica come vie più vere la comprensione e l’ascolto reciproci per ‘rigenerare’ un rapporto più maturo.

Terenzio infatti si impegna proprio sulla riflessione del modello educativo patriarcale repressivo, concentrato sulla figura del padre e sulla discendenza patrilineare. È interessante osservare che i Romani, con il termine familia, indicavano tutte le persone della casa sottomesse all’autorità del capofamiglia, il pater familias, e la condizione dei filii familias perdurava finché il pater familias era vivente o capace giuridicamente.

Solo alla sua morte ogni maschio della generazione successiva poteva staccarsi dalla casa d’origine con la propria discendenza e diventare pater della nuova familia con figli, nipoti… che restassero in casa oppure no. All’interno della casa il pater era sacerdote e depositario di tutte le norme e consuetudini (mores maiorum).

Essere fedeli al mos maiorum significava riconoscersi membri di uno stesso popolo, avvertire i vincoli di continuità col proprio passato e col proprio futuro, sentirsi parte di un tutto. I costumi e le usanze rendevano pienamente civis il romano che le seguiva con rispetto ed erano simbolo di integrità morale e fierezza nell’essere cittadino romano.

Ma nei secoli, con l’espansione territoriale, la struttura delle relazioni sociali e della cultura romana subirono profondi sconvolgimenti. La morale tradizionale era necessaria per mantenere immutata la repubblica. Con il passare dei secoli e con l’influenza delle usanze di nuove popolazioni, le tradizioni del mos maiorum si dispersero a favore della nuova cultura cristiana.

Grazie all’influenza del cristianesimo che considerava infatti il legame matrimoniale come un “sacramento”, vennero apportate delle modifiche alla convivenza matrimoniale, dando alla nuova struttura della famiglia un significato diverso da quello antico, e meno assoluto.

Il diritto di famiglia nel nostro Paese, così come è stato definito con la legge del 1975, ha modificato radicalmente la potestà assoluta. È una delle riforme più importanti fra quelle di attuazione costituzionale proprio perché cambia completamente la struttura interna della famiglia riconoscendo alla donna una condizione di completa parità rispetto all’uomo e rafforzando fortemente la tutela giuridica dei figli anche illegittimi. Nasce di qui tutto l’insieme delle norme che formano il diritto di famiglia dell’età contemporanea inteso come un insieme di norme poste a protezione della famiglia, della sua funzione interpersonale e sociale, della sua missione educativa, della sua vocazione al prendersi cura, ma prima di tutto e soprattutto del suo essere profondo.

Martina Vallefuoco III C