TRA LAVORO E DISCRIMINAZIONE: IL CAPORALATO

 L’articolo 15 dello Statuto dei lavoratori ha fissato un principio fondamentale del nostro ordinamento: il divieto di discriminazione sui luoghi di lavoro. Un principio, questo, già affermato in ambito internazionale ed europeo, che ha visto negli anni un sensibile rafforzamento per il tramite della giurisprudenza (sentenze nei vari gradi di giudizio) e di ulteriori leggi nazionali (in ambito civile e penale). Ad oggi, dunque, il divieto di discriminazione è sì principio consolidato, ma ancora destinato a evolversi man mano che la società vive nuove e differenti forme di discriminazione che il sistema stesso si prefigge di abbattere. Ma, al contempo, resistono vecchie sacche di illegalità nel mercato del lavoro: come quella del caporalato.

I nuovi fenomeni migratori hanno riportato al centro della cronaca alcune modalità di utilizzazione delle energie lavorative che si fondano essenzialmente sullo stato di bisogno in cui versa la manodopera immigrata. Sono sotto gli occhi di tutti le immagini che ogni estate vengono riproposte dai vari media che mostrano masse di immigrati irregolari ammucchiati in baracche di legno e ridotti quasi in schiavitù nei campi agricoli.

Parliamo del caporalato, forse la più drammatica forma di discriminazione sui luoghi di lavoro. Questo termine, di origine sociologica e non giuridica, si era soliti indicare, soprattutto negli anni ’50 e ’60, quella forma di utilizzazione dei lavoratori che avveniva per via indiretta, senza cioè l’instaurazione di un rapporto di lavoro tra il lavoratore e colui che beneficia delle sue prestazioni, ma attraverso l’interposizione di un soggetto terzo: il caporale. La definizione tecnica del caporalato è quella di “intermediazione illecita nell’avviamento al lavoro della manodopera agricola”, proibita come tale dall’articolo 20 della legge 83/1970 (“Norme in materia di collocamento e accertamento dei lavoratori agricoli”), anche se, nella pratica, esso può applicarsi anche ad altri settori lavorativi, in particolare l’edilizia. E’ un fenomeno discriminatorio, oltre che criminale, che ben conosciamo da circa 70 anni, ma a cui, evidentemente, non sappiamo dare adeguata risposta.

 

Di Tommaso Pinardi, classe 2i