HOMO SUM 

“Il senso di umanità dei Greci e dei Romani era migliore del nostro? Quale posto occuperebbe nel mondo antico la Dichiarazione universale del 1948? Intanto nel canale di Sicilia non si soccorrono i naufraghi. Nel medesimo luogo ove Enea, diretto in Italia, fu soccorso da Didone”. Con queste parole Bettini apre una profonda riflessione etica supportata da fonti storiche e letterarie inerente alla situazione geopolitica che coinvolge i flussi migratori nel mediterraneo.

Nel primo libro dell’Eneide si parla di naufraghi e di ospitalità, proprio da questo prende spunto il saggio di Bettini, dal naufragio dei Troiani sulle coste di Cartagine, mentre sono diretti in Italia. Un popolo che nega ospitalità, hospitium, ai naufraghi è un popolo di barbari, le sue tradizioni non sono civili, non appartengono al genus humanum. E la regina Didone, per prima vittima di violenza, rassicura i naufraghi, li invita a non avere timore. Ma l’autore continua, con grande intelligenza e con uno stile semplice e accurato allo stesso tempo, ricordandoci che «il primo libro dell’Eneide ha contribuito a creare la consapevolezza culturale che ha portato alla elaborazione di quei principi di reciproco rispetto e garanzia, basilari per la nostra convivenza, che oggi chiamiamo diritti umani». E da qui Bettini riprende temi molto interessanti, un percorso che si snoda fra tre strade: osservare la dipendenza tra la concezione moderna e il pensiero classico; misurare la distanza che ci separa dagli antichi; individuare quelle forme culturali in base alle quali i Greci e i Romani si ponevano problemi simili a ciò che noi oggi identifichiamo come diritti umani.

La Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) con cui ciascun uomo non può essere privato dei diritti inalienabili, presenta diverse analogie con il pensiero classico. Seneca e lo stoicismo, ad esempio, possono essere considerati i precursori di quel sentimento di fratellanza umana oltre le barriere etniche e territoriali che è alla base della Dichiarazione. La libertà di parola trova invece corrispondenza nella parrheshía, la «possibilità di dire tutto», e la tesi secondo cui la promozione dei diritti umani debba avvenire attraverso l’insegnamento e l’educazione si ricollega alla humanitas romana. La quale è, da un lato, mitezza e giustizia, e dall’altro cultura, come a dire che solo quest’ultima garantisce l’accesso ad una vita civile. La cultura dei doveri umani greco-romana era compresa in una società religiosa. Il senso di fratellanza, la consapevolezza di essere parte di una società come di un organismo (Seneca), si basava su una concezione sacra della vita. Chi mancava ai suoi doveri diveniva bersaglio di maledizioni. Le quali erano avvertite come minacce concrete. La cultura dei diritti umani si afferma con l’illuminismo e una crescente società moderna che fa più affidamento alla scienza rispetto alle verità di fede, in un clima di secolarizzazione e laicizzazione. Se non è opportuno e neppure possibile recedere da essa, combattere la sua degenerazione, la politica identitaria, è possibile e allo stesso tempo bisogna farlo.

 

Di Elia Canali