Pensieri per una nuova Italia attraverso Croce e Mattioli

Foto di Alessia Della Gatta

Alessandro Manzoni scrisse: “La storia è una guerra contro il tempo, in quanto chiama a nuova vita fatti ed eroi del passato.” E infatti spesso conoscere i fatti e gli eroi del passato permette di guardare con una nuova luce e in una diversa prospettiva le sfide del presente, fornendo inaspettatamente idee e proposte di soluzioni che la sola visione dell’attualità impedisce di avere. Così venerdì 17 settembre ha avuto luogo nella Sala della Pinacoteca di Palazzo d’Avalos la presentazione del libro “Dal Mezzogiorno all’Europa. Pensieri per una nuova Italia attraverso Croce e Mattioli“, un volume che, attraverso gli interventi nei convegni tenuti negli ultimi anni nell’ambito del Premio Benedetto Croce, racchiude delle proposte, come dice il titolo stesso, per una nuova Italia, nate dalle spesso lungimiranti idee di due protagonisti del 900 italiano e non solo come Raffaele Mattioli e Benedetto Croce. 
 
Presenti all’incontro due coautori del volume, il professore Costantino Felice, docente di Storia economica presso l’Università d’Annunzio di Pescara, e il professore Nicola Mattoscio, docente straordinario di Economia politica all’Università G. Marconi di Roma e già professore ordinario all’Università di Chieti-Pescara, che hanno dialogato e  risposto alle domande dei moderatori Gabriella Izzi Benedetti e Antonio Santoro.

Foto di Alessia Della Gatta


 Al giorno d’oggi la questione ecologica, i cambiamenti climatici, il surriscaldamento globale sono tra gli argomenti più discussi a livello politico, economico, scolastico e non solo. Non tutti però sanno che Raffaele Mattioli, oltre ad essere uno dei più grandi banchieri del novecento (come ha ricordato il prof. Felice, alla sua scomparsa il giornale francese Le monde ha scritto che era morto il più grande banchiere della storia dopo Lorenzo il Magnifico), è stato anche un grande ambientalista ed ecologista ed è stato, insieme al cugino Erminio Sipari, uno dei fondatori del Parco Nazionale d’Abruzzo, tra i primi parchi in Italia e in Europa e poi modello imitato a livello nazionale e non solo, e tra i fautori di una legge, la prima in Italia, promulgata tra il 1920 e il 1921, sulla tutela del territorio, anticipando di quasi un secolo l’attuale dibattito sulla transizione ecologica. 
 
Il discorso è poi divertito sulla questione della vastesità, nel caso di Mattioli, e dell’abruzzesità, per quanto riguarda Croce, di questi due personaggi, che per Felice, insieme a d’Annunzio e Silone, sono tra le quattro più importanti e significative personalità del 900 a cui l’Abruzzo ha dato i natali. In realtà, però, secondo il professor Felice, il concetto di vastesità e abruzzesità, e cioè di identità, non è presente in Mattioli e Croce, ma così come non è presente in nessuno di noi, perché non esiste, e questo lo sosteneva già Croce. Infatti, il filosofo ha scritto due monografie sui paesi di origine dei suoi genitori, Pescasseroli e Montenerodomo, visitandoli per capire di più sulle sue origini, ma arrivando alla conclusione che ciascuno di noi non è filius loci, ma filius tempori.  

Allo stesso modo, per quanto Mattioli amasse Vasto, scrivesse poesie in dialetto vastese e per quanto contribuì significativamente alla città dal punto di vista culturale, non si può parlare della sua vastesità come elemento fondamentale della sua persona, anche in relazione al disprezzo che sia lui che Croce avevano per i localismi. L’importanza di Mattioli nel 900 italiano è invece da rintracciare su tre livelli: quello economico, quello politico (senza di lui non ci sarebbero stati il partito liberale e il partito repubblicano) e quello culturale. Quest’ultimo in particolare è da sottolineare, in quanto Mattioli è stato un vero e proprio mecenate, sostenendo numerosi intellettuali durante il fascismo. Inoltre è grazie a lui che oggi possiamo leggere i Quaderni dal carcere di Gramsci, che conservò nella cassaforte della Banca Commerciale Italiana, come ricordato da Nilde Iotti.

Il professor Mattoscio si è concentrato sull’aspetto economico di Croce e Mattioli, evidenziando come il primo sia stato per l’economia più un servitore, mentre il secondo un protagonista. Ciò che, però, entrambi hanno in comune è la visione estremamente laica e razionalista e l’idea che è fondamentale rispondere ai bisogni concreti delle persone e delle comunità. Ed è proprio con la visione laica che secondo Mattoscio si può spiegare lo sviluppo economico, che sia esso avvenuto o, come nel caso del Mezzogiorno, mancato o in ritardo.  

Ad esempio, nel 1861, l’Italia, a livello ferroviario, era profondamente indietro rispetto al nord Europa, che già da 30/40 anni costruiva continuamente nuove ferrovie. E le poche ferrovie in Italia si trovavano quasi esclusivamente al nord, tanto che quelle del sud rappresentavano solo il 5% del totale. Allo stesso modo, al nord si trovavano canali navigabili e i vari capoluoghi erano già collegati all’Adriatico, mentre al sud e anche in Abruzzo si era fermi ai tratturi. Questo significa che una parte del Paese era già proiettata o stava per proiettarsi al futuro e allo sviluppo attraverso competenze tecniche, scientifiche e anche umanistiche, altamente carenti al sud. Per non parlare di un’altra delle variabili con cui la visione laica riesce a spiegare il “miracolo” dello sviluppo, e cioè il capitale umano, che significa conoscenza, capacità di avere rapporti interpersonali, coesione sociale.  

C’è, però, secondo il professor Mattoscio, una possibilità di riscatto per il Mezzogiorno e per l’Abruzzo: si può fare un’analogia tra quelle che erano le infrastrutture e i sistemi di comunicazione di un tempo, cioè le ferrovie, con le infrastrutture moderne, che sono immateriali, e cioè le reti informatiche e digitali. Con la transizione digitale, che va di pari passo con la transizione ecologica, e lasciando indietro tutta la retorica del Mezzogiorno arretrato, si può cogliere questa opportunità, adeguando il capitale umano, smettendo di fare il “gioco dello scaricabarile”, puntando sull’istruzione e attraverso la cultura razionalista e incentrata verso la tecnicità che ci hanno tramandato Croce e Mattioli, il Mezzogiorno può davvero guardare all’Europa e diventarne un fiore all’occhiello.  

Simone Di Minni