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Storie di mamme: tra Madres paralelas di Almodóvar e Petite Maman di Sciamma

Se c’è un aspetto che sta accomunando diversi film usciti quest’anno è probabilmente la figura della madre: da The Lost Daughter di Maggie Gyllenhaal a È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, fino ad arrivare a Madres paralelas di Pedro Almodóvar e Petite Maman di Céline Sciamma, il ruolo della mamma diventa centrale nei vari intrecci e allo stesso tempo, in modi diversi, ha il compito di legare e slegare, avvicinare e allontanare i vari personaggi. 

Ed è proprio negli ultimi due film che la mamma non è “solo” un personaggio, ma la maternità assume degli aspetti importanti e significativi sia per le storie, sia per quelli che sono i messaggi del film. Le concezioni di madre che emergono da Madres paralelas Petite Maman sono molto diverse tra loro e quasi speculari, come speculari in realtà sono gli stessi film. Per capire in che modo il ruolo di madre appaia così distante tra i due film, bisogna partire da tre considerazioni.

La prima è che Madres paralelas è un film sulla maternità e su quanto essere madre possa cambiare una donna, mentre Petite Maman è un film su un rapporto inusuale tra madre e figlia che implicitamente riflette, in un modo quanto mai originale, sulle differenze e le comunanze tra tre generazioni di donne. La seconda considerazione è che Madres paralelas è un film politico e il concetto di maternità ne risente, essendo l’escamotage per parlare della situazione odierna in Spagna; Petite maman, invece, in continuità con il cambio di rotta nella filmografia di Céline Sciamma a partire da Ritratto della giovane in fiamme, non è all’apparenza un film politico: mostra e non mostra, parla e non parla, e si concentra invece sulla poeticità del rapporto madre-figlia (e forse anche nonna-madre-figlia). La terza considerazione è che Madres paralelas è un film girato da un uomo, Petite maman da una donna.

Per quanto semplicistico, quest’ultimo dato di fatto permette di riflettere sulle scelte narrative dei due registi. Madres paralelas è la storia di due mamme, Janis e Ana, entrambe single, che si conoscono perché compagne di stanza in ospedale. Janis è una fotografa, una donna matura e in carriera, la cui gravidanza è inaspettata ma accettata molto volentieri; Ana, invece, è un’adolescente che, come si scopre più avanti nel film, rimane incinta senza volerlo, ma che, seppur giovane e senza quel desiderio di voler diventare mamma che invece caratterizza Janis, decide di non abortire e di portare a termine la gravidanza. Dopo una parentesi in cui si allontanano, la vita porta Janis e Ana a rincontrarsi e le loro vicende personali iniziano a legarsi in un nodo che diventa sempre più stretto da un segreto di cui Janis viene a conoscenza e di cui invece Ana fino alla fine del film è all’oscuro, che stravolge completamente il loro rapporto e il loro essere mamme. 

Petite Maman ha, d’altro canto, una struttura tanto semplice all’apparenza quanto invece è complessa. È innanzitutto un film breve (dura circa 70 minuti), ma riesce ad essere forse più d’impatto di Madres paralelas proprio per la capacità di Céline Sciamma di iniziare e concludere in un così breve tempo una storia intricata e fortemente collegata e farla sembrare molto lineare. Petite Maman è, infatti, più che un film, una fiaba, un racconto magico in cui la magia è invisibile ma tangibilePetite Maman è la storia di Nelly e di sua madre, e poi amica, e poi di nuovo madre Marion: la prima è una bambina sagace che ha da poco perso la nonna materna e si reca con la famiglia alla casa di quest’ultima, sperduta nel bosco, per svuotarla. Con i genitori distanti e segnati dal lutto, Nelly passa molto tempo da sola e, durante una delle sue passeggiate nel bosco, incontra un’altra bambina molto simile a lei (le due attrici sono gemelle nella vita reale), con cui inizia a stringere un legame molto forte, che si scoprirà essere, in realtà, diverso da quello immaginato.  

Madres paralelas è una storia dalla struttura chiara e lineare, che però nasconde una chiave di lettura, una dicotomia, che permette di mettere il film a confronto con Petite Maman: è una storia sul presente, sulla Spagna del presente, che però da una parte è ancora ancorata al passato e da un’altra è focalizzata solo sul futuro. C’è un divario generazionale incolmabile tra le protagoniste Janis e Ana e questo distacco è proprio alla base della loro visione diversa del mondo. Per la prima metà del film, le due sembrano legate dalla situazione comune, dalla gravidanza, e la loro differenza è mostrata dalla antitetica situazione familiare e sociale; andando avanti, invece, il legame tra le due diventa tanto più stretto (e non più solo legato dall’esperienza vissuta insieme) quanto diventa invece più marcata la loro totale incompatibilità nel modo di vivere, di pensare e di ragionare. E così, il film diventa non solo una storia di due mamme, ma, come detto prima, emerge una riflessione politica sul passato della Spagna, che sembra aver dimenticato troppo in fretta, per Almodóvar, la Guerra civile e il passato franchista: per gli spagnoli sembrano passati secoli, ma la Spagna è stata una dittatura fino al 1975. E se in Janis c’è la volontà di ricordare e far riemergere quel passato che tanto passato non è, Ana, come mostrato in un dialogo sfociato in litigio tra le due, sembra essere invece ignara del passato e proiettata al futuro, senza rendersi conto che questo è in realtà incerto.

Passato, presente e futuro sono i temi chiave anche di Petite Maman, con la differenza che nel film di Céline Sciamma non sono in contrasto e in contrapposizione tra loro; anzi, la storia, essendo ambientata in una casa isolata nel bosco e quindi atemporale, unisce passato, presente e futuro in una sequenza circolare, analizzando le diverse generazioni e come il tempo da una parte cambia irreversibilmente rapporti e persone e da un’altra, invece, ricongiunge, guarisce e riappacifica: grazie alla “magia” del bosco, i personaggi di Petite Maman riescono a parlare tra loro superando anche barriere temporali e comprendendo pienamente nel presente determinate scelte compiute nel passato. 

Tra scontri o rincontri generazionali, dopo tante o poche vicissitudini, i film, in conclusione, ritornano dal passato al presente e giungono entrambi a un finale più o meno dolceamaro: entrambi mostrano una riconciliazione, ma solo in uno dei due film questa non sembra un compromesso. E così il nome di Pedro Almodóvar compare sullo schermo dopo un film che potremmo definire sulla Storia, quella con la S maiuscola (“Non esiste la storia muta. Per quanto le diano fuoco, per quanto la frantumino, per quanto la falsifichino, la storia umana si rifiuta di tacere”, questa è la citazione che chiude il film), mentre il nome di Céline Sciamma compare dopo un film che invece riprende dalle storie, dalle fiabe, quella capacità di intrattenere i bambini e far riflettere gli adulti, rappresentando quei momenti in cui il confine tra infanzia e età adulta sbiadisce. 

E se da un lato Almodóvar convince con la sua regia “classica” ma soprattutto grazie alle interpretazioni di Penélope Cruz (per la quale ha meritamente vinto la Coppa Volpi a Venezia e meriterebbe una candidatura ai prossimi Oscar) e di Milena Smit, a convincere di più è Céline Sciamma, grazie a una sceneggiatura solida, fatta di dialoghi scarni ma significativi, alla sempre splendida fotografia di Claire Mathon (che aveva già reso Ritratto della giovane in fiamme un film spettacolare e che dopo Petite Maman ha curato la fotografia – punto di forza – di Spencer) e all’interpretazione potentissima delle due giovanissimi attrici.  

Si sa, less is more, meno è di più, e per quanto non sia sempre vero (È stata la mano di Dio ne è un esempio), in questo caso lo è, perché l’esplorazione materna di Almodóvar è frenata dalla storia parallela sul passato della Spagna e viceversa, senza che tra le due trame ci sia effettivamente un punto di contatto, se non sul finale, che appare però forzato; l’esplorazione materna di Céline Sciamma, invece, essendo libera da trame secondarie, colpisce emotivamente lo spettatore per la sua semplice potenza narrativa: numerose scene rimangono impresse per la loro dolcezza e naturalezza.  

Simone Di Minni