Olympe De Gouges

Olympe de Gouges (il suo vero nome era Marie Gouze) fu un’attivista francese che lottò principalmente per i diritti delle donne, ma anche per quelli delle persone di colore, degli orfani, degli anziani, dei disoccupati e dei poveri. Nacque a Montauban nel sud della Francia, fu data in sposa a Louis- Yves Aubry a soli 16 anni, un uomo anziano che morì l’anno dopo, lasciandola vedova e con un figlio.
Nel 1770 Olympe si trasferì a Parigi insieme al figlio Pierre e a Jacques Bietrix de Rozieres, un imprenditore benestante. Grazie a lui riuscì a inserirsi nella società borghese agiata, e si lasciò andare ai piaceri mondani che le offriva la capitale. Frequentò artisti, intellettuali, filosofi e scrittori, si appassionò alla scrittura teatrale e creò una sua compagnia, con la quale faceva del teatro itinerante. Sapeva bene quali erano i suoi limiti dato che, come molte donne del suo tempo e ceto, era in grado di leggere e scrivere a malapena. Ma nonostante questo, Olympe sentiva in sé una vena letteraria, infatti scrisse opere teatrali, testi politici, manifesti, articoli e discorsi. Nella prefazione del suo L’homme genereux scrisse: “Ecco quanto è fragile il nostro sesso. Gli uomini hanno tutti i vantaggi… Siamo state escluse da ogni potere, da ogni sapere”.
Oltre ai diritti delle donne, un’altra causa che le stava molto a cuore era della schiavitù delle persone di colore: “Trattano questa gente come bruti, esseri che il cielo ha maledetto. Un commercio d’uomini! Gran Dio! E la natura non freme? Se sono degli animali, non lo siamo anche noi?”. Olympe fu attaccata su tutti i fronti, accusata di occuparsi di argomenti non adatti a una donna e criticata per lo stile delle opere, ritenuto troppo diretto. La donna era esasperata e rispose a modo suo: “Devo ottenere un’indulgenza plenaria per tutti i miei errori che sono più gravi che leggeri: errori di francese, errori di costruzione, errori di stile, errori di sapere, errori di interesse, errori di spirito, errori di genio. In effetti non mi è stato insegnato niente, faccio un trofeo della mia ignoranza”.

Con lo scoppio della rivoluzione nel 1789, Olympe sperò che le cose potessero cambiare, aggrappando le sue speranze al motto “Liberté, Égalité, Fraternité”, ma nonostante le numerose riforme portate con l’Illuminismo, non si percepiva molta uguaglianza tra uomini e donne. Queste ultime erano ai margini della società, prive del diritto di voto e dell’accesso alle istituzioni pubbliche. Così Olympe, per far sentire la sua voce, decise di inondare di petizioni i deputati, la Corte e l’uditorio. Solo in quell’anno ne pubblicò più di 12. I temi più ricorrenti erano la richiesta di ricoveri per anziani e di asili per i figli di operai. Inoltre intraprese una battaglia sulla mancanza di adeguati standard d’igiene negli ospedali: a Parigi una donna su quattro moriva di parto in seguito a infezioni. Ma nonostante le sue buone intenzioni, la stampa spesso commentava con ironia le sue iniziative, deridendola con tutti i tradizionali argomenti di una misoginia dura a morire. Veniva sminuito il suo lavoro e si cercava di farla passare come un’esaltata da cui tenersi alla larga.

Nel 1789 venne anche emanata la “dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, dove la rivoluzione dimenticò completamente le donne nel progetto di libertà e uguaglianza, affermando addirittura, nel 1793, che le donne non avevano lo statuto di cittadine poiché “Le donne sono poco capaci di concezioni elevate, di meditazioni serie, e la loro naturale esaltazione sacrificherebbe sempre gli interessi dello Stato a tutto ciò che di disordinato può produrre la vivacità delle passioni“, ragion per cui Olympe decise di sopperire a questa mancanza preparando un testo giuridico che non voleva essere una sovrapposizione al primo, ma voleva semplicemente essere una aggiunta. Gli articoli della Dichiarazione dei diritti della donna sono di un’attualità incredibile, considerato che sono stati scritti 230 anni fa e sono tuttora non riconosciuti in buona parte del mondo. Pensiamo al fatto che ancora tante donne vivono senza diritti e
vengono considerate proprietà dell’uomo, anche nei paesi cosiddetti civili come l’Italia devastata da costanti femminicidi. Al primo punto della dichiarazione si legge: “La donna nasce libera e ha gli stessi diritti dell’uomo. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’interesse comune.”, seguito da altri 16 punti.

I più importanti sono:

Articolo 4: La libertà e la giustizia consistono nel restituire tutto ciò che appartiene ad altri; così la perpetua tirannia dell’uomo, unico limite all’esercizio dei diritti naturali della donna, va riformato dalle leggi della natura e della ragione.
Articolo 6: La legge deve essere l’espressione della volontà generale; tutte le Cittadine e i Cittadini devono concorrere personalmente o con i loro rappresentanti alla sua formazione; essa deve essere uguale per tutti e tutti, essendo uguali ai suoi occhi, devono essere ugualmente ammessi a tutte le dignità, posti e impieghi pubblici, secondo le loro capacità e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti.
Articolo 10: Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni anche di principio, se la donna ha il diritto di salire sul patibolo, essa deve avere pure quello di salire sul podio.
La dichiarazione fu contestata anche da moltissime donne, tanto da far rispondere Olympe con una delle sue frasi più celebri: ” Le donne non hanno mai avuto nemici più grandi di loro stesse. Raramente vediamo donne applaudire una bella azione, opera di una donna”.

Olympe ne inviò una copia anche a Marie Antoinette, con una lettera in allegato dove asseriva: “Sostenete, Signora, una causa così bella, difendete questo sesso infelice, e avrete presto dalla vostra parte una metà del regno”. Alla fine del testo, inserì un messaggio: “O donne, donne! Quando cesserete di essere cieche? Quali vantaggi avete ottenuto dalla Rivoluzione?“. In poche si unirono alla sua battaglia e per Olympe fu una grande delusione, ma il motivo principale fu il fatto che le donne temevano di dispiacere ai mariti da cui dipendevano economicamente.
Nel 1793 la sua firma su un manifesto in cui sosteneva essere favorevole a un governo federale si rivelò fatale, dato che era appena stata proclamata una legge in cui si dichiarava la Francia “unica e indivisibile”. Per questo motivo Olympe fu imprigionata per tre mesi a regime duro e ghigliottinata il 3 novembre 1793, a 45 anni, dopo un processo-farsa in cui non le fu concesso un difensore: “Avete abbastanza capacità per difendervi da sola“, le dissero. Dopo la decapitazione, il procuratore Chaumette dichiarò: “Ricordate l’impudente Olympe de Gouges […], l’aver dimenticato le virtù del suo sesso l’ha condotta al patibolo. Quello che noi vogliamo è che le donne siano rispettate, ed è per questo che le forzeremo a rispettarsi loro stesse“. Appena salita sul patibolo urlò ai presenti: “Enfants de la Patrie vous vengerez ma mort. » (Figli della patria, vendicherete la mia morte) e il figlio Pierre fu costretto a ripudiarla pubblicamente, per non fare la stessa fine.

«Uomo, sei capace d’essere giusto? È una donna che ti pone la domanda; tu non la priverai almeno di questo diritto. Dimmi: chi ti ha concesso la suprema autorità di opprimere il mio sesso? La tua forza? Il tuo ingegno? Osserva il creatore nella sua saggezza; scorri la natura in tutta la sua grandezza, di cui tu sembri volerti raffrontare, e dammi, se hai il coraggio, l’esempio di questo tirannico potere. Risali agli animali, consulta gli elementi, studia i vegetali, getta infine uno sguardo su tutte le modificazioni della materia organizzata…»

 

Francesca Rossi