SERIE TV E VIRALITÀ: IL FENOMENO SQUID GAME

E’ costante la crescita del successo dei prodotti sud-coreani, soprattutto per quanto riguarda l’intrattenimento. A dimostrarlo è la serie televisiva “Squid Game” (“Il gioco del calamaro”), che negli ultimi mesi è salita in cima alla classifiche di moltissime piattaforme streaming. La trama, piuttosto originale, è basata sulle vite di diversi personaggi che sembrerebbero non avere letteralmente nulla da perdere, poiché indebitati fino al collo e minacciati da usurai che addirittura (come ancora accade in Sud Corea) detengono i diritti sui loro organi come in una sorta di ipoteca. Questi veri e propri reietti vengono scelti per partecipare ad una serie di giochi ispirati alla loro infanzia, il cui vincitore finale riceverà una quantità ingente di denaro, sufficiente a saldare ogni suo debito e a permettergli di costruirsi una vita migliore. Ciò che i concorrenti inizialmente non sanno, tuttavia, è che il vincitore sarà anche l’unico a sopravvivere, poiché ogni volta che un partecipante perde, viene letteralmente eliminato. “Squid Game” è una storia di sopravvivenza, umanità, tenacia e debolezza: mette in mostra gli aspetti peggiori e migliori di ogni personaggio, smuovendo inevitabilmente l’empatia degli spettatori. 

Guardando questa serie, è impossibile non provare una certa angoscia. La tensione è alleviata in pochissimi attimi dell’intera serie, e in tutto il resto della visione ero portata a domandarmi cosa sarebbe successo negli istanti successivi. Per questo motivo, cioè per la suspense che costituisce un elemento fondamentale del genere, durante la visione non sono riuscita a staccare gli occhi dallo schermo. Ho empatizzato con molti personaggi tanto quanto ho detestato altri, il cui lato più crudele è stato portato alla luce da questi altrettanto crudeli giochi. Mi sono posta molte domande che la mia condizione di vita non mi aveva mai portato a pormi: come si fa ad arrivare a perdere tutto, a continuare a scivolare verso il basso nonostante si conoscano i rischi a cui si va incontro? Come ci si sente a essere la causa di tanto dolore per chi ti ama e per te stesso? Come si trova la forza di continuare a lottare, anche quando non si ha più speranze?

Suppongo che le mie impressioni siano state condivise dalla maggior parte del pubblico mondiale di questa serie, portandola al suo attuale successo. L’immedesimazione in questi personaggi così straordinariamente reali è decisamente il punto di forza di “Squid Game”: la componente umana così variegata ma allo stesso tempo accomunata dagli stessi problemi e dallo stesso obbiettivo, permette alla vicenda di articolarsi in una descrizione accurata e vincente del lato negativo dell’umanità e di ciò che si può diventare quando si ha il terrore di perdere una vita che si ha la speranza di poter salvare.

L’avvento di internet e dei social media ha rivoluzionato la nostra concezione di informazione. La velocità e l’insistenza di diffusione di qualsiasi cosa, che sia d’interesse pubblico o meno, sono enormemente aumentate grazie a questi strumenti di comunicazione così fondamentali per la nostra evoluzione in una società contemporanea. Per questo motivo, quando qualcosa diventa virale, ogni utente del pianeta, indipendentemente dal suo interesse per l’accaduto, viene inevitabilmente bombardato di articoli e post che in qualche modo lo forzano a venire a conoscenza di una vicenda di dominio pubblico. Questo è il primo amo della viralità, a cui è difficile non abboccare, ma che viene tuttavia battuto dal secondo, al quale è quasi impossibile resistere: le conversazioni con amici, conoscenti e parenti che, mossi dal desiderio di commentare o condividere il nuovo oggetto di accanimento del web, sono in grado di convincere il già tentato utente a partecipare alla moda, magari guardando la serie del momento o cliccando su un video virale. A spingere intere folle di persone verso qualcosa di virale è quindi la combinazione infallibile di insistenza (del web o di chi ci circonda), curiosità e pigrizia, poiché ci intratteniamo (o distraiamo) costantemente grazie al web, mettendoci continuamente nella condizione di essere tentati a partecipare al fenomeno, per quanto questo ci faccia sentire poco originali. 

Ogni volta che un’immagine o un’informazione ci viene propinata, questa si unisce al bagaglio di conoscenze che possediamo sulla nostra società e attualità, spesso condizionandoci e modificando il nostro comportamento o modo di essere a immagine e somiglianza di ciò che abbiamo recepito come giusto nell’osservazione della copia utopica e perfetta del nostro mondo che costituisce il web. 

Alice Santoro, III A