Un viaggio d’istruzione in Campania

“Qui su l’arida schiena del formidabil monte sterminator Vesevo,

la qual null’altro allegra arbor né fiore,

tuoi cespi solitari intorno spargi, odorata ginestra,

contenta dei deserti […]”.         

Leopardi, La Ginestra o il fiore del deserto.

 

Nei giorni del 30 e 31 maggio 2022, diverse classi prime del Polo Liceale Mattioli si sono recate a Palazzo reale di Napoli, Pompei, le grotte di Pertosa-Auletta e Paestum.

Dopo un viaggio tra campagna e città si è arrivati a Napoli, dove è stato visitato il Palazzo reale borbonico (il cui dominio raggiungeva anche Vasto), presso piazza del Plebiscito, di fronte alla chiesa edificata da Francisco de Paula (la scritta sulla facciata recita: «D.O.M.D. FRANCISCO DE PAULA FERDINANDUS I EX VOTO A MDCCCXVI»).

Il Palazzo si estende per uno spazio nettamente inferiore alla reggia di Caserta; fu la residenza storica dei viceré spagnoli per oltre un secolo e mezzo, e della dinastia borbonica dal 1734 al 1861, con qualche brevissima interruzione. Ai lavori di restauro parteciparono insigni architetti, tra cui il grande Luigi Vanvitelli. Il teatro di Corte è arredato con statue in cartapesta (che migliorano l’acustica) delle nove Muse greche, di Apollo (dio delle arti) ed Hermes ( messaggero degli dèi). Gli artisti napoletani cercarono di copiare i grandi maestri italiani, francesi e spagnoli con risultati non cattivi, seppur neanche eccezionali. Tutte le stanze visitate mostrano tende in seta e molto di frequente è possibile notare splendidi affreschi o arazzi che raffigurano talvolta personaggi appartenenti alla dinastia dei Borbone. Nello specifico in uno degli arazzi è mostrato il contrasto  fra l’elemento del fuoco (messo in rilievo dal dio Vulcano) e quello dell’aria (evidenziato dagli strumenti musicali a fiato) Il mobilio è sontuoso e aureo.

 

“[…] Torna al celeste raggio dopo l’antica obblivion, l’estinta Pompei, come sepolto

scheletro, cui di terra

avarizia o pietà rende all’aperto; […]”

Leopardi, Canti, La Ginestra o il fiore del deserto, vv. 269 – 27

 

Dopo pranzo dalla galleria Umberto I, si è presa la via verso Pompei. La città, fondata dagli Osci e sviluppatasi in modo eterogeneo nei tempi successivi (fino al 79 d. c. in cui venne seppellita dall’eruzione del Vesuvio). Una volta entrati, si è visitato l’anfiteatro, diviso in ima cavea e summa cavea, capace di accogliere 20.000 spettatori. Si ricorda una delle pratiche che i Romani svilupparono nell’ambito dell’uccisione: la damnatio ad bestias, consistente nel lasciare che un essere umano, colpevole di qualche grave misfatto, fosse divorato dalle selvagge bestie fameliche richiuse nelle sezioni a esse dedicate dell’anfiteatro.

Non era possibile la pratica della ναυμαχία  Naumachia (si riempiva l’occhio della struttura con acqua per poi dare battaglia con le navi), al contrario di ciò che avveniva nel Colosseo di Roma.  A Pompei erano presenti numerosi “snack bar” e ben 37 panifici, oltre alle lupanare, i luoghi deputati al piacere sessuale mercenario,  dove gli uomini potevano scegliere la particolare pratica sessuale desiderata. A testimonianza rimangono le pitture murali con raffigurate le specialità delle ragazze a decorazione dell’ ingresso e delle porte; essendo Pompei una città che si intratteneva con numerosi scambi commerciali, gli uomini che vi giungevano spesso non parlavano latino.

 

“[…] Così scendemmo ne la quarta lacca, pigliando più de la dolente ripa

che ’l mal de l’universo tutto insacca. […]”

Dante Alighieri, La Divina Commedia, Canto VII, vv. 16 – 18.

 

Il giorno successivo si è fatta visita alle grotte di Pertosa, meglio dette di Pertosa-Auletta. Si tratta di una delle pochissime grotte navigabili in barca. Proprio grazie a questa caratteristica le grotte sono state utilizzate per sette anni per le raffigurazioni teatrali della Divina Commedia; infatti, l’acqua (di origine sconosciuta) ricorda lo Stige, un fiume infernale. Oggi purtroppo tali rappresentazioni non sono più realizzate per via del Covid. Le formazioni calcarea stalattitiche e stalagmitiche sono molto suggestive, con colori che spaziano dal bianco candido (nelle formazioni di puro carbonato di calcio, CaCO3) al giallo o al marrone, dati da diversi pigmenti (come la floricina) e poi il verde (a causa della fotosintesi) nelle zone alla luce del sole. Si riconoscono, come in numerose altre grotte, delle formazioni assimilate dall’uomo a forme conosciute, come un presepe, degli elefanti e molto altro ancora.

 

Quarto e ultimo luogo visitato è Paestum, l’antica Poseidonia. L’antica polis è per i quattro quinti proprietà privata. La sezione restante ospita i templi dorici e diverse costruzioni d’età romana. Il più antico è quello che sarà definito basilica che si presenta ancora abbastanza lontano dalla precisione della tecnica greca, infatti il capitello è ancora molto aggettante. È unico al mondo poiché presenta nove colonne sul lato minore (ennastilo) e si presume fosse dedicato a due divinità diverse; ciò è testimoniato anche dal fatto che il naos è diviso da una fila di colonne in due navate (proprio per questo motivo, per dare la prospettiva di poter “entrare” dentro la cella della divinità, il numero delle colonne sul lato minore). Il secondo, il tempio di Athena, poi detto di Cerere (a doppio ordine dorico e ionico), rispetta il canone secondo cui il lato maggiore deve avere il doppio delle colonne del lato minore (6) con l’aggiunta di una (6 x 2 + 1 = 13). Il tempio cronologicamente più recente è quello dedicato a Poseidone, uno dei più conservati dell’antichità (questo a causa delle particolari tecniche costruttive greche e del terreno sabbioso alla base). In esso sono presenti praticamente tutte le correzioni ottiche adoperate nei templi dorici: la convessità dello stilobate, l’inclinazione delle colonne d’angolo lungo le diagonali del rettangolo formato dallo stilobate; l’entasi è già molto meno accentuata rispetto a quella della Basilica, viceversa molto pronunciata. Una caratteristica peculiare delle colonne di questo tempio è il fatto che sono molto massicce, così tanto da indurre gli architetti a realizzare 24 scanalature a spigoli vivi, invece delle classiche 20. Tutti gli edifici erano costituiti da travertino e pietra locale, mentre il materiale standard per la costruzione templare era il marmo; per tale motivo, i templi vennero ricoperti da uno stucco bianco e decorati con una viva policromia.

Altro elemento descritto è la tomba del tuffatore, conservata al Museo archeologico nazionale di Paestum. Questa è fra le poche tombe che avevano dipinta la lastra di copertura; è proprio qui che si nota il tuffatore, che ha un significato simbolico circa il quale sono presenti diverse ipotesi, tra cui si ricorda quella del passaggio fra la vita e la morte (anche considerando che il nuoto non era uno sport molto praticato all’epoca e non c’era alle Olimpiadi). Le quattro lastre laterali, invece, raffiguravano una scena del simposio greco, cui erano ammessi solo gli individui di sesso maschile.

Michelangelo Grimaldi