STORIA DI UN RISCATTO SOCIALE

Ciao, io mi chiamo Tinkara, sono africana, e fino a poco tempo fa ero sottoposta a un lavoro minorile in Nigeria, e ora ho 23 anni e vivo in Italia con la mia migliore amica Mandisa che ha qualche mese più di me.

Sono riuscita a scappare con Mandisa dal nostro paese natale Abuja, la capitale della Nigeria, grazie a lei che con dei suoi contatti riuscì a ricavare dei passaporti sotto falso nome, appena compimmo 18 anni per non lasciare dubbi ai comandanti dell’aeroporto.

Ho incominciato a lavorare alla giovane età di 5 anni perché dopo un periodo di guerra mi hanno separato dai miei genitori e dalla mia casa; piantavo ogni giorno per 9 ore di fila senza pause nuovi semi da portare poi, cresciuti i frutti, al mercato. Non potevo fare festa neanche un giorno per nessuna ragione, neanche se avevo la febbre.

Mandisa invece ebbe più fortuna, ovvero iniziò a lavorare a 8 anni, e lavorava solo in primavera perché raccoglieva e piantava le fragole per 4 ore al giorno, aveva i giorni di festa e la pausa.

Ma durante l’anno mi aiutava sempre.

All’inizio ero invidiosa del suo lavoro, ma crescendo e capendo l’importanza dei franchi, mi resi conto che guadagnava molto meno di me perciò per aiutarla a mantenersi andammo a vivere insieme e condividevamo i franchi.

Ogni primavera quando guadagnavamo entrambe andavamo in libreria e compravamo una miriade di libri di matematica, di lingua francese e prima di andare a letto studiavamo la lingua italiana.

Ci conosciamo da quando ho memoria, perché abitavamo vicino ma il nostro legame lo abbiamo stretto al parco giochi spingendoci a vicenda sull’altalena.

Per andare in Italia abbiamo risparmiato fino a fare il digiuno negli ultimi giorni e fare altri due lavori, perché dovevamo pagarci due biglietti per sola andata e una casa in affitto per due persone ma 1000 franchi in Italia valgono sempre 1000 euro.

 

È stato difficile non tanto risparmiare e lavorare il triplo, ma trovare gli altri due lavori perché in alcune città le ragazzine o perfino le donne non potevano lavorare; gli unici lavori consentiti erano la professione della professoressa e della casalinga per occuparsi della casa e dei figli.

Come ho già detto prima, grazie a Mandisa avemmo i passaporti sotto falso nome, ma dovemmo anche travestirci da due ragazzi perché le ragazze o in generale le donne africane per salire sull’ aereo dovevano essere accompagnate dal marito o dal padre e avere il consenso della madre. Ma l’abbiamo scampata, anche se il travestimento di Mandisa attirava un po’ troppo l’attenzione perché si era messa gli orecchini grandi e la nostra gente non accettava con leggerezza i ragazzi con gli orecchini o con il trucco. Infatti per passare e andare sull’ aereo glieli hanno fatti togliere.

Io per l’eccitazione di arrivare in Italia non ho dormito per tutte le 6 ore e 58 minuti, al contrario di una certa persona, Mandisa che, appena ci siamo sedute è crollata. Appena si svegliò mi vide mangiare dei salatini e delle patatine per la fame del digiuno di qualche giorno, sbavò fino a bagnarsi i jeans e con istinto animale mi tolse il cibo di mano e inghiottì tutto senza masticare. Le stava andando tutto di traverso e prendemmo una bottiglia e ne bevve metà; per non sprecarla la bevvi anche io, e vedemmo andar via piano piano i sacrifici che facemmo per avere qualche cibo spazzatura e una bottiglia d’acqua.

Nell’ultima mezzora venne la nausea a Mandisa, ma non sapeva neanche lei il perché e capimmo poi che erano le patatine al formaggio di cui era allergica.

Appena scese salimmo su un taxi per andare all’albergo più vicino e ci fermammo momentaneamente in Lombardia per poi fare shopping e andare a Roma e raggiungere Napoli.

Dopo aver comprato un po’ di vestiti alla moda italiana, per confonderci nella folla, andammo anche da una parrucchiera con costi ragionevoli e con poca folla.

Io mi rifinii i ricci e mi tinsi i capelli di bianco per fare contrasto con la mia pelle, e Mandisa se li tinse solo di verde acqua.

Dopo aver ringraziato la parrucchiera andammo in albergo e crollammo.

Dopo aver fatto colazione affittammo molti taxi prima di arrivare a Napoli.

Dopo qualche giorno, arrivammo, e prese dalla fame assaggiammo la pizza e ne restammo innamorate e ce la divorammo.

Ci mettemmo un po’ per imparare a capire il dialetto napoletano ma ce la facemmo e trovammo un lavoro in comune con un’ottima paga, cioè andammo a fare le parrucchiere e le pizzaiole, gli altri ci chiedevano come facevamo ma per noi non era difficile, anzi più facile degli altri lavori che avevamo in Africa.

Dopo due anni vidi una persona familiare, mi avvicinai e riconobbi che era mia madre, senza pensarci due volte l’abbracciai e la strinsi con le lacrime agli occhi e la supplicai di portarmi anche da mio padre.

Quel giorno non mi sembrava vero, avevo rincontrato i miei genitori dopo 15 anni, e tutto d’un fiato gli raccontai cosa fosse successo in tutti questi anni e aiutarono me e Mandisa a diventare anche professoresse.

Sono passati cinque anni ormai da quando abbiamo abbandonato l’Africa, e mi sento ogni giorno sempre più felice e senza pensieri.

Sono diventata anche una professoressa di educazione civica e, pensando a tutto ciò che abbiamo passato da piccole mi vengono i brividi perché da pochi giorni ho scoperto che i valori e i diritti dei bambini vengono infranti ogni giorno. A noi hanno tolto il diritto all’istruzione, alla famiglia, al gioco, ci hanno fatto lavorare duramente, ci hanno tolto anche il diritto alla salute e ci fatto sentire inferiori ai bambini più ricchi che ci guardavano dall’alto in basso.

Ma oggi lotto per tutti i bambini che stanno passando tutto ciò che ho passato io. Questo mi ha fatto capire che anche un piccolo gesto può fare la differenza perché sono ritornato in Africa a dare l’istruzione necessaria ai bambini poveri, senza chiedere soldi, ritornando poi in Italia durante le feste.

In questi anni ho anche adottato tre fratelli che avevano bisogno di aiuto e ora dormono in un letto caldo e con cibo in abbondanza.

Tutti possono dare una vita migliore a tutti quei bambini che sono sfruttati dai grandi per fare grana e arricchirsi ancora di più. 

                                                                                                                  MIRIAM CIOCE 1D

                                                            SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO “MARINO GUARANO”