Il Drago di Atessa

Secondo la leggenda, Atessa, un comune in provincia di Chieti, era in principio formata da due città Ate e Tixa, separate da una valle paludosa nella quale abitava un temutissimo e pericolosissimo drago. Per le due cittadine era quasi impossibile incontrarsi o unirsi.

Al di sotto di questa valle c’erano anche due fiumi: l’Osente (oggi Osento) e il Pianello (oggi Sangro) che, formando diversi acquitrini, costituivano una palude malsana, un habitat ideale per il drago protagonista della leggenda.

Per diverso tempo la situazione rimase la stessa, finché non arrivò da Brindisi il Vescovo Leucio che aveva già scacciato un drago. Leucio, visse probabilmente dalla  fine del IV secolo all’inizio del V secolo. San Leucio, nato ad Alessandria d’Egitto e divenutone vescovo, operava miracoli, guariva i malati e scacciava i demoni finché, divenuta gravissima la repressione dei Cristiani, fuggì recandosi a Brindisi.

Il suo peregrinare lo portò presso il Vallone di Rio Falco dove uccise il feroce drago con il dorso verde, il ventre giallo e la bocca rossa. Il drago mieteva vittime e imponeva sacrifici umani come suo pasto quotidiano. Da esperto quale era, Leucio andò nella tana del drago, lo nutrì per tre giorni di carne e, ormai sazio, lo incatenò e lo uccise.

Conservò il suo sangue utilizzato, successivamente, dalla popolazione come pozione curativa. Il potere terapeutico e taumaturgico del sangue del drago, infatti, liberava contro i dolori articolari e le affezioni renali. Il Santo donò una costola del feroce animale e chiese, alla popolazione finalmente unita, di edificargli, come atto di devozione, un luogo sacro.  In ricordo del valoroso Vescovo venne costruita una chiesa, l’attuale Duomo di San Leucio, che sorge sui resti della grotta abitata dal drago, nella quale si può ammirare una grande costola fossile di mammifero di circa 2 metri di lunghezza.

La costola del drago, secondo alcuni studi, sembrerebbe provenire dal gruppo di grandi ossa rinvenute in località Valdarno, attribuite ai celebri elefanti che Pirro portò in Italia per la battaglia di Benevento, oppure a quelli transitati in Abruzzo durante la battaglia tra Annibale e Scipione Africano. Secondo altre ipotesi si tratterebbe di un osso appartenuto a un Misticeto, un cetaceo del sottordine delle balenottere, molto simile ad altre ossa trovate in altre parti dell’Italia.

Hiba Nadir