Giornata della Memoria. Perché non scende la notte

“Rimasero tutti e due abbracciati, uccisi dal colpo e dalla corrente, uniti dal filo spinato.”

Scrive così Edith Bruck nel suo libro “Chi ti ama così” per raccontare l’atroce scena di una figlia che, in un campo di concentramento, viene uccisa mentre abbraccia suo padre, dopo averlo riconosciuto. Muore con lui, a causa della corrente del filo spinato e del colpo sparato dalle SS.

Anche all’ingresso del Polo Liceale Mattioli riposano due corpi abbracciati e uniti dal filo spinato, avvolti dalle vesti con le stelle di David, che sembrano quasi strappate dalla pelle.

Stanno lì a ricordare, a chiunque entri, tutte le vittime innocenti della crudeltà umana.

Ricordare: la parola che racchiude tutto il senso di questa giornata.

Il ricordo richiama nel presente del cuore qualcosa che non è più qui è non è più adesso. E noi dobbiamo ricordare, ricordare sempre ciò che è stato perché, come diceva Primo Levi, «l’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria».

La memoria, labile e fugace, non dovrà dimenticare, scordare, allontanare dalla mente e dal cuore, la libertà negli occhi di tutte quelle persone che, il 27 Gennaio del ‘45, si sono riversate fuori dai cancelli di Auschwitz.

Non dovrà dimenticare che, in fin dei conti, questa è sola una data simbolica volta a ricordare qualcosa di più grande: le vittime dell’Olocausto e della guerra, le leggi razziali, e tutti coloro che hanno messo a rischio la propria vita per proteggere i perseguitati.

In quei campi di distruzione e sofferenza trovarono la morte più di 15 milioni di persone: uomini, donne, bambini uccisi spietatamente solo perché colpevoli di essere “diversi”, “inferiori”, “subumani”.

Ebrei, Polacchi, Rom, Testimoni di Geova, prigionieri di guerra, omosessuali, disabili condivisero tutti la stessa sorte disumana.

La memoria non dovrà dimenticare tutto il dolore di quegli anni, perché ci sono ancora negazionisti che rifiutano La Shoah.

Forse, viviamo solo in una società talmente veloce da non avere più spazio per il dolore, un dolore troppo grande e che spaventa a tal punto da preferire la negazione, il rifiuto.

Forse, semplicemente, non siamo capaci di vedere tutto questo dolore oggettivato.

Ed è per questo che ricordare è così importante, per non far scendere la notte su un passato da cui dobbiamo imparare ogni giorno qualcosa di nuovo.

Ai piedi dei due corpi abbracciati giace una scritta: “Perdere il passato significa perdere il futuro”.

Ricordare per non ripetere gli stessi errori, anche se, alla fine, non sarà la Memoria a salvare l’uomo dai suoi sbagli.

 

Alessandra Masciantonio