IL CUORE DI CHI HA GIÀ UN DESTINO

In un esercizio di scrittura creativa, la penna di Lorenzo Luciani, alunno della I QL, del Liceo Scientifico delle Scienze Applicate del Secondo Istituto di Istruzione Superiore “A. Ruiz” di Augusta, ha reso la  monaca di Monza protagonista di un perturbante racconto horror.  

Era appena sera e il convento di Monza stava chiudendo, porte e finestre vennero minuziosamente serrate e bloccate con assi di legno, in modo da non far entrare nemmeno un singolo raggio di luce. Tutte le monache si rifugiarono nella propria stanza per recitare l’ultima preghiera. È lì che cominciava la “vita” al convento. Mentre le donne che indossano il lungo velo nero erano impegnate a lodare Dio e il suo splendido paradiso, fuori dalle piccole celle, si scatenava un silenzioso inferno. Il convento ospitava anche delle bambine per imprimere l’educazione da buone madri e donne, oppure, più raramente, per abituarle al futuro da monache. Quest’ultimo è il caso di Gertrude, una bambina di buona famiglia, per questo ben vista al convento. Gertrude, però era anche la bambina più particolare e curiosa tra quelle ospitate. Tutte le notti, da quando arrivò lì, usciva dalla sua stanza, come tutte le bambine, per avere un po’ di libertà, ma lei tendeva le sue fragili e delicate braccia  in avanti, con l’intenzione di abbracciare chiunque le si trovasse di fronte o accanto o, se preferiva, anche dietro. Gertrude non faceva distinzioni, amava tutti e, per non dover scegliere chi abbracciare, stava sempre ad occhi chiusi durante le sue passeggiate notturne. Se era ben vista dalle monache, al contrario, non era molto simpatica alle bambine, che tutte le mattine le stavano lontano, cercando di coprire i lividi che avevano ovunque: chi sulle braccia, chi sul corpo e alcuni anche sulla testa. Avevano paura che le monache potessero punirle, pur di non dare la colpa alla “perfetta” Gertrude. La futura monaca era strana e per un motivo sconosciuto, la notte, vagava e cercava “affetto”, tentando di strappare parti del corpo di chi le stava vicino, ma nessuno credeva a quelle bambine! Non era cattiva, cercava solo affetto. “Non è colpa sua se ti fa del male, sei tu che ti trovavi vicino a lei nel buio totale”. Le notti passavano e la violenza aumentava, alcuni dicevano anche di averla sentita sussurrare mentre “abbracciava” le sue vittime, però sempre parole scollegate: “Mamma”, “amore”, “vieni qui”, “abbracciami”, “ti voglio bene”… Era una notte d’autunno, il momento in cui Gertrude raggiunse l’apice; continuava a sussurrare e i lividi sui bambini erano sempre più scuri e profondi, graffiava, mordeva e quella notte, strappò un cuore. Nessuno si lamentava quando Gertrude si scatenava e le monache non sentivano nulla o almeno non volevano sentire. Ma quel giorno Gertrude si ritrovò davanti la bambina più piccola tra le ospitate, la strinse, la strinse, la strinse talmente forte che alla fine la bimba non fece più resistenza. Gertrude per la prima volta aprì gli occhi e si mise a fissare la sua vittima per ore con i suoi occhi cavi, senza pietà, senza emozioni. Poi, allungò la sua tenera mano e la affondò nel petto della bimba, si aiutò con l’altra per aprire il torace e le strappò il cuore, lo guardò e disse: “Io sono migliore di te, mamma, tu l’hai fatto solo con me, io l’ho fatto con una delle mie sorelle e presto lo farò con una delle mie madri”. Abbandonò il cuore per terra, si alzò e si mise a correre. Si avventò sulla prima porta di una camera e la colpì talmente forte, che quasi la abbatteva. La monaca aprì delicatamente con un tenero sorriso che subito si trasformò in paura. Si ritrovò davanti agli occhi cavi di Gertrude, “due bocche dell’inferno” disse, poi si ritrovò stesa per terra, con la bocca di Gertrude sul collo, che teneramente sussurrò: “Io sono molto meglio di te”.

LORENZO LUCIANI  I QL