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Lasciami volare, lasciamoci amare – Il Mattioli’s Chronicles intervista Gianpietro Ghidini

Non è stato un incontro comune quello che abbiamo vissuto nell’Auditorium della nostra scuola ieri, 11 maggio. 

Papà Gianpietro ha raccontato e condiviso con noi ragazzi la sua storia e quella di suo figlio Emanuele, i suoi fallimenti ed errori.  

Ci ha mostrato il suo difficile percorso; un percorso fatto di sensi di colpa e un dolore profondo con il quale ha imparato a convivere e che gli ha dato la spinta per rinascere. 

Al termine dell’incontro, poi, nell’Auditorium vuoto, immersi in una luce soffusa, in un’atmosfera pacata e commossa, ci ha concesso di porgli alcune domande. 

Foto di Aaron Monteferrante

Su cosa si è basata la scelta del titolo per l’incontro, “Lasciami volare”? 

Lasciami volare nasce dal titolo di una canzone; si tratta di un pezzo musicale scritto da un cantante bresciano proprio per Emanuele – e qui un sorriso tenero gli ha sfiorato le labbra.  

Il significato del brano, però, è leggermente diverso. Di fatti racconta di un figlio che rivendica la propria libertà nel prendere le decisioni che più lo riguardano: chiede ai propri genitori di stargli affianco, di aiutarlo a rialzarsi se durante il volo dovesse cadere, ma li implora di non tarpare le sue ali e di lasciarlo volare. 

Che cosa lo ha spinto, invece, a raccontare la storia di Emanuele? 

Sapete, ricordo ancora il primo incontro che feci con 300 ragazzi delle superiori. Lessi loro la lettera che avevo scritto – che trovate anche nel libro – e guardandoli mi accorsi dei loro occhi lucidi, dei loro respiri – gli occhi si offuscano, è perso in ricordi lontani, tuttavia una scintilla li accompagna. 

Capii che attraverso Emanuele sarei potuto arrivare ai vostri cuori e sciogliere quei nodi, aiutarvi ad essere migliori, dimostrarvi che potete avere la vita felice e serena che sognate, se vi ponete i giusti obiettivi e le giuste domande. 

La mia speranza è proprio questa: che attraverso la nostra storia possiate trovare la vostra strada. 

Foto di Aaron Monteferrante

Cosa prova durante questi incontri? Come ci si sente a parlare con ragazzi della stessa età di suo figlio? 

Da una parte vedo Emanuele in ognuno di voi; dall’altro guardo sempre una sedia rimasta vuota,- rivolge allora uno sguardo agli spalti, ormai vuoti e silenti – lo immagino seduto lì e penso che, magari, se avesse ascoltato un papà come me, sarebbe stato più attento quella sera. Spero con tutto il cuore che, in qualche modo, il mio racconto possa mettervi all’erta e farvi capire l’importanza delle vostre scelte. Nessuno vi obbligherà a prendere decisioni sbagliate, avrete sempre la possibilità di dire di no e dovrete avere il coraggio di farlo. 

E cosa prova invece quando riesce a “salvarli” davvero? 

Io non penso di averlo mai fatto con nessuno, ma quando mi ringraziano e mi confessano di averli salvati, in quel momento, capisco che la mia vita può avere davvero un senso, anche dopo la morte di Emanuele. Riesco a capire che tutti noi, se amiamo gli altri e “domiamo” il nostro dolore, possiamo non solo trovare un senso alla vita e alla sofferenza, ma anche alla morte stessa, riuscendo a trasformarla in vita.  

Se potesse rincontrare il se stesso del passato, cosa vorrebbe dirgli? E soprattutto con quale di loro vorrebbe parlare? 

Vorrei parlare con il me di vent’anni fa, con quell’uomo che pensava di aver capito tutto della vita – un uomo diverso, materialista, che ha lasciato un’impronta nel suo cammino. 

Non vorrei cambiare nulla, però, del mio passato: se sono qui è anche perché ho commesso degli errori; ma non potrei esserne in nessun modo consapevole se non li avessi fatti. Credo che oggi questa consapevolezza mi aiuti persino a cercare di andare oltre.  

Forse cambierei solo una cosa; vorrei aver parlato con Emanuele quel pomeriggio in cui ero andato a casa e lo avevo visto più serio del solito, vorrei non aver rimandato al giorno dopo solo perchè avevo una riunione di lavoro; vorrei averlo ascoltato e cercato di salvarlo, quella volta. Ma non è andata così, dunque mi raccomando spesso con i genitori di mettere al primo posto sempre le persone, non c’è nulla di più importante. 

Durante l’incontro ci ha parlato più volte di come la serenità interiore sia più importante della felicità. Lei quando ha capito di averla raggiunta? 

Io credo che la serenità non sia una conquista definitiva. Penso che sia semplicemente un rinnovare ogni giorno il tuo “sì” alla vita, un sì che attraverso l’incontro di oggi ho cercato di condividere con noi. 

Cerco infatti di ringraziare sempre per quello che ho e per i doni che la vita mi ha fatto, di aiutare gli altri, in ogni modo possibile, prepararmi, crescere nel mio percorso di vita e imparare a perdonare, me stesso e gli altri.  

Ma tutto ciò è qualcosa che devo rinnovare ogni giorno, altrimenti rischio di perderla quella serenità e di cadere nella superficialità. È un cammino, quotidiano e costante. 

Foto di Aaron Monteferrante

Prima ci ha parlato del sogno che aveva da ragazzo, quello di aiutare le persone e di spendere la propria vita per cercare di rendere migliore quella degli altri. Ad oggi sente di averlo raggiunto questo obiettivo? 

Dopo nove anni che giro l’Italia per raccontare la mia storia, penso di aver dato tanto, quindi sì, mi sento davvero quel missionario tanto sognavo di essere. Non lo sto facendo in Africa come immaginavo, ma in Italia, e va bene così. Credo con tutto il cuore che Emanuele mi abbia aiutato a far tornare in vita il ragazzo che ero. unque sì, penso di averlo realizzato quel sogno, anche se non basta: ho intenzione di andare avanti e di provarci, finchè ne avrò le energie. 

E qui abbiamo come percepito un vento lieve che così come ha spazzato via la cenere dalle sue braci, ora spazza via la malinconia dai suoi occhi. Ci restituisce una forza e una leggerezza incredibili. Siamo tornati nelle nostre classi arricchiti, sicuri di aver avuto l’onore di un incontro speciale. Speciale come Emanuele, come il suo papà, come ognuno di noi.

                                                                                              Alessandra Masciantonio

Giulia Tiranno