I giochi nell’antica Roma

I Romani ereditarono tutti i passatempi delle civiltà con cui vennero in contatto, come Greci ed Egizi.

Per loro lo scopo dei giochi non era solo quello di intrattenere e divertire, ma avevano un’importante funzione educativa ritenendola un’attività formativa che sviluppava intelligenza, creatività e fantasia. Per questo, sia i bambini che gli adulti, trascorrevano molto tempo giocando.

I giochi dei bambini più poveri erano realizzati in legno, mentre quelli dei più ricchi potevano addirittura essere in avorio.

Molti erano i giochi che facevano compagnia ai bambini nelle lunghe giornate, tra questi alcuni ancora oggi in uso, come testa o croce ( capita et navia), pari e dispari, il lancio dei cerchietti con le “clavis” ( bacchette), le trottole yo-yo, il domino, i dadi ( aleae), la morra,  i giochi di simulazione come  piccoli combattimenti con spadine di giunco.

Particolari erano le piramidi di noci ( nuces). Si prendevano 4 noci, si posizionavano 3 come base e 1 come punta. Formata la piramide, i giocatori si sistemavano ad una distanza prestabilita, e poi, con le noci restanti, tiravano alle piramidi avversarie. Quando un giocatore le colpiva, le vinceva e le teneva per sé.

O ancora il gioco delle bambole. Le bambine giocavano con le pupae, delle bambole snodabili dotate di un proprio corredo,  la loro casetta, la cucina, le pentoline. Le ragazze romane si sposavano molto presto, a 12 o 13 anni, e avevano l’abitudine, il giorno prima del matrimonio, di offrire la propria bambola alla divinità preferita come segno della fine della fanciullezza.

Interessante è la Tria :  si giocava in due, un giocatore aveva 3 pedine bianche e l’altro 3 pedine nere. Ad ogni turno bisognava spostare le proprie pedine lungo le linee nere, fino a formare il tris, fino ad avere cioè le tre pedine allineate.

Il ludus latrunculorum era il gioco più amato dai mercenari, che vi scommettevano anche grosse cifre in denaro. Occorrevano una scacchiera quadrata con 10 caselle per lato, 10 pedine bianche e 10 nere.  Si poteva giocare solo in due: si posizionavano le proprie pedine sulle caselle della prima fila, quella più vicina, oppure se ne mettevano 5 sulla prima linea e 5 sulla seconda. Per impossessarsi di una pedina dell’avversario bisognava prima circondarla con 3 o 4 delle proprie. Il primo che si impossessava di tutte le pedine dell’avversario vinceva.

Erano già conosciuti anche i giochi con la palla. In tutti i giochi con la palla bisognava essere almeno in 2 o 6 persone. Esistevano diversi tipi di palla, riempita di sabbia, piume, aria, stoffa, cuoio e le dimensioni variavano a seconda del tipo di gioco.

Molto praticata era anche la mosca di bronzo, il nostro “mosca cieca”. Si giocava almeno in 4 o 5; un bambino veniva bendato e lo si faceva ruotare fino a perdere l’orientamento; il giocatore bendato pronunciava: “Andrò a caccia della mosca di bronzo”, e gli altri rispondevano: “La cercherai, ma non la prenderai”. I compagni colpivano il bambino bendato con delle stringhe di cuoio fino a quando quest’ultimo non afferrava la stringa di un altro ragazzo che diventava la mosca di bronzo.

Altro divertimento assicurato era il gioco degli astragali, degli ossicini ottenuti dalle zampe di pecore, montoni o altri animali. Chi non poteva procurarseli se li costruiva in terracotta. Ne sono stati trovati anche in avorio, argento e persino oro. Il gioco più famoso che si faceva utilizzando questi ossicini era chiamato delle “cinque dita”. Consisteva nel lanciare per aria i cinque astragali con una mano e poi rivoltare velocemente il palmo verso terra per raccoglierli e trattenerli tutti e cinque sul dorso. Gli astragali erano anche usati come dadi.

                 

 

                 Alice D’Alessio

   Giulia Salerni