LA SOLITUDINE: SOFFERENZA O RISORSA?

Nel corso della vita ogni uomo ha provato l’esperienza della solitudine, e quando l’ha confrontata con gli altri si è accorto che non ne esiste una sola. Ognuno di noi ha un modo proprio di rappresentarla, di viverla. In psicologia essa è definita come una mancanza di significativi rapporti interpersonali, i quali sono vissuti come insoddisfacenti per la loro natura, per il loro numero, o per incapacità del soggetto stesso a stabilire o mantenere rapporti positivi con gli altri. La solitudine, però, offre all’uomo innumerevoli opportunità per maturare e divenire un soggetto autonomo. Certo è una condizione spiacevole, che spesso diventa un nemico da fuggire. Molti ragazzi si sentono soli, molti sono soli, nella prigione dorata del loro Walkman. Per sfuggire alla solitudine spesso i giovani sono disposti a tutto specie se non riescono a trovare in se stessi le risorse per gestire l’afflizione che ne deriva. Ma la solitudine non è solo disperazione, è anche speranza e forza, conquistata nel riconoscimento di un SE’ profondo e completo che può far maturare un sentimento di felicità nella solitudine stessa. Occorre rieducare le persone alla solitudine in modo da renderla strumento di conoscenza delle proprie emozioni, utile mezzo per gestire e strutturare la propria autonomia. Il punto di approdo alla solitudine è il ritrovare nella personale esperienza l’equilibrio fra il se’ e il fuori di se’; un armonico strumento che ci permette di abilitarci ad una matura vita di relazione. Se si soccombe al sentimento della solitudine essa svaluterà l’identità limitandola ad un ruolo passivo; mentre se lo si carica di creatività, d’immaginazione, di non visibile, di sogno, avverrà una rivoluzione emotiva che trasformerà i limiti in talenti, le frustrazioni in attitudini.

RICCI GIADA