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Dalle stalle alle stelle: i Beatles di “Eight days a week”

I Beatles, punto. Tutto quello che volevate sapere sulla band più famosa della storia, in particolare degli anni che vanno dal 1963 al 1966, potete scoprirlo in un documentario di Ron Howard intitolato “Eight days a week”. Si tratta di un impeccabile, divertente, dinamico resoconto degli anni d’oro (e forse anche un po’ folli) della band dei favolosi quattro, ritratta nel periodo in cui ha dato tutta se stessa in una tourneé mondiale, dall’America al Giappone, passando per Australia, Nuova Zelanda, Filippine e la stessa Liverpool. Il tutto al suono di note musicali intramontabili, quelle dei loro album altrettanto indimenticabili: da “Please Please me”, “With the beatles”, “A hard Day’s night” a “Beatles for sale” per poi approdare a “Rubber soul” e “Revolver”, vero e proprio album di transizione, come un po’ lo era stato il precedente. Alternando piccole clips delle loro mirabili e divertentissime interviste a filmati originali dei loro concerti commentati dagli stessi autori negli anni successivi, “Eight days a week” riflette su una grande prerogativa tutta in realtà beatlesiana: il successo dei Fab Four. Ma soprattutto su che cosa si nasconde dietro questo successo. “I don’t know”, rispondevano sempre i quattro capelloni scanzonati ma adorati dalle ragazze in pieno delirio. In effetti, come si vede dal documentario, è nato tutto per caso, forse per quelle che Goethe chiamava “affinità elettive”: tra Paul e John, entrambi orfani di madre, è scoccata una scintilla, chiamata musica. L’unica in grado di riempire quel vuoto interiore che Liverpool offriva, che il mondo stesso offriva. Quell’inquietudine di fondo che, almeno John, non perderà mai, e che infatti riemergerà anni dopo con il suo grido di aiuto (“Help”) lanciato a tutto l’universo e cantato a squarciagola. Ma unito al tema del successo, c’è anche un altro elemento: i tour e la beatlemania. Per quanto tempo sarebbe andata avanti così? Quando sarebbe scoppiata la bolla di sapone? I Beatles erano al centro del mondo, a detta di John più popolari di Gesù Cristo, eppure qualcosa, da quel 1962 spensierato nella Cavern di Liverpool a quel turbato 1966 era cambiato: i Beatles si erano guardati in faccia ed ebbero il coraggio di dirsi basta. Basta coi tour, con la folle beatlemania. Qualcosa doveva pur cambiare perché semplicemente anche i Beatles non erano più gli stessi. Avevano ormai un volto morale e psicologico diverso, una faccia diversa della stessa pur sempre sensazionale medaglia. Dando la parola ai quattro protagonisti di una rivoluzione mai vista prima, il documentario mostra questo, questa ascesa confusionaria e presagisce, attraverso poche, silenziose, inquadrature, anche la sommessa dipartita, la colata a picco, che inizia proprio in quel 1966, con la fine dei concerti e l’insinuarsi di uno spaventoso individualismo e autoritarismo nella band. Ma i concerti, dopo l’ultimo ufficiale del Kandlestick Park di San Francisco, non saranno finiti realmente. Bisognerà aspettare il 1969, l’ultimo anno, per l’ultimo vero concerto: quello sui tetti della apple, che per i Beatles erano ormai come i tetti del mondo. Quello che chiude anche un documentario che lascia letteralmente senza fiato.
Chiara Donati – Classe 4D