Intervista a mio nonno

Intervisto mio nonno, Gennaro Sansone, perché credo che la sua vita sia un’ottima testimonianza di cosa sia stato vivere nel dopoguerra, in un piccolo paesino di provincia.

 

 

D: Iniziamo dalle basi, dove e quando sei nato?

 

R:Sono nato nel 1942 ad Accettura, un piccolo paese della Basilicata che allora era abitato da circa tremilacinquecento persone ma che oggi conta meno di tremila abitanti.

E’ un paese posto a 800 m. sul livello del mare, circondato da montagne e questa posizione geografica fa sì che il clima d’inverno è molto freddo ed anche d’estate si sta freschi soprattutto di notte.

 

D: Sei nato in pieno periodo della seconda guerra mondiale e sei cresciuto durante l’epoca della ricostruzione, erano tempi difficili e sicuramente i tuoi genitori non avevano un approccio amichevole e confidenziale con te ed i tuoi fratelli come avviene oggi.

Che rapporto avevi con tuo padre?

 

R: Mio padre per fortuna fu esonerato dal partire per il fronte perché aveva una attività, era industriale boschivo e produceva carbone, che era considerata allora indispensabile sia per i civili che per le esigenze della guerra.

Contrariamente a quello che erano i costumi e le abitudini dell’epoca, mio padre era di vedute molto moderne nei confronti miei, primogenito, e di mia sorella e mio fratello più piccoli. Divideva il poco tempo libero fra noi e la politica, sua grande passione. Quando stava con noi ci coinvolgeva in giochi di abilità e di attenzione, facendoci p.e. indovinare con un colpo d’occhio, quanti ceci arrostiti, specialità di quei luoghi, erano nel piatto, ciò per fare le porzioni in parti uguali e così ogni volta che si presentava riusciva a creare un’occasione per farci esercitare, inconsapevolmente, alle quattro operazioni. Molte volte ci raccontava, coinvolgendoci, i suoi trascorsi di fanciullo e le sue avventure.

 

D: E con tua madre?

 

R: Mia madre all’età di 23 anni fu colpita dalla sclerosi multipla, io avevo solo 3 anni e mia sorella solo un anno. Per nostra fortuna con noi viveva la nonna paterna che ci ha cresciuti e seguiti nella prima infanzia mentre nostra madre era alle prese con la malattia fra accertamenti ricoveri e tentativi di terapie molte volte inutili, compreso la nascita di un terzo figlio, medicinali miracolosi fatti venire da altre nazioni, dove si diceva avessero trovato la cura idonea, ma che si rivelavano poco efficaci. Questa malattia ancora oggi non è perfettamente conosciuta e curabile.

La malattia di mia madre ha determinato i nostri caratteri, mentre ci è mancata la figura della mamma si è rafforzato in noi figli uno spirito di adattamento che ci ha fortificati nell’affrontare i sacrifici e le vicissitudini che la vita comporta.

Rimane ancora in me la tenerezza verso mia madre che ha saputo accettare la sua malattia pur su una sedia a rotelle.

 

D: Oggi viviamo in un’epoca in cui c’è tanta tecnologia, internet, telefoni cellulari e non riesco ad immaginare come potevate divertirvi negli anni ’50.

Quali giochi facevi? Quanti amici avevi? Quali erano le tue passioni?

 

R: La mia infanzia, fino a dieci anni, quando ancora la televisione non esisteva e la radio, per chi la possedeva, era un bel mobile che faceva bella mostra nel salone, trascorreva con tanti amici per le strade del paese a giocare a palla o altri giochi di abilità, quali mosca cieca, nascondino, palla avvelenata, ecc.

Essendo anticipatario a dieci anni sono andato a Napoli presso uno zio per frequentare le medie che allora, non essendo obbligatorie, non esistevano nei paesi piccoli.

Qui con i miei cugini si giocava soprattutto in casa ai giochi da tavolo e di società tipo monopoli, giochi di carte. Pur essendo Napoli una grande città, durante la bella stagione si scendeva per la strada, ancora senza automobili, con i pattini, monopattino e bicicletta per la quale mi venne una grande passione curata fino ai diciotto anni, quando poi sono andato a lavorare.

Si andava qualche volta al cinema.

Da più grandi si discuteva molto di politica che era vissuta come ragione di vita e per la conquista ed il mantenimento degli ideali di libertà dopo la triste esperienza di venti anni di dittatura fascista.

 

D: Oggi i genitori sono molto presenti nelle nostre vite e anche nell’ambito scolastico tendono ad interferire nel rapporto tra noi ed i nostri insegnanti, sempre pronti a proteggerci ed a tutelarci.

Com’eri da studente? Com’era il rapporto con i docenti? E tra i tuoi insegnanti ed i tuoi genitori?

 

R: Dopo un primo impatto di disagio, anche per l’allontanamento dalla famiglia, che poi si riunirà dopo quattro anni dalla mia andata via, il mio percorso da studente è andato avanti senza particolari evidenze nè positive e nè negative. Alle scuole superiori per geometri, e soprattutto gli ultimi tre anni di corso, mi appassionai alle materie professionali riuscendo anche a ricevere l’elogio di alcuni professori all’esame di maturità.

I rapporti alunni professori erano in genere molto cattedratici. Solo negli ultimi due anni i professori, che erano per lo più ingegneri, ci raccontavano delle loro esperienze di lavoro raccomandandoci di fare attenzione alle difficoltà e alle insidie della professione.

I rapporti fra insegnanti e genitori erano pressoché assenti. Mio padre veniva a scuola per ritirare il blocchetto delle giustifiche per le assenze all’inizio di ogni anno e, salvo eventuali accompagnamenti per cattiva condotta, il rapporto dei genitori con la scuola si esauriva in quella incombenza.

 

D: Siamo giunti alla conclusione di questa intervista, vuoi aggiungere qualcosa?

 

R: Vorrei raccomandare una lettura approfondita della nostra storia per non ricadere negli stessi errori del passato. Sarebbe un peccato non apprendere una lezione da questi sacrifici.

 

Giuseppe de Martino