RIGOPIANO

Un anno. Un anno è passato da quel giorno di dicembre in cui una valanga di neve, alberi e terra piombò su un hotel nei pressi di Rigopiano. La notizia di cui scrivo non è il dramma delle persone che hanno perso la loro vita, non è il pianto e la disperazione dei loro cari non è infine l’incuria da parte dell’uomo che ha causato la valanga; perché è reale il disboscamento selvaggio della vallata, la concessione di permessi per costruire l’hotel in quella posizione oggetto ancora di specifica indagine.

Scrivo perché è giusto che ci si ponga con atteggiamento critico di fronte alle intercettazioni telefoniche che sono state rese note in questi giorni. Mi chiedo come è possibile che Istituzioni poste a salvaguardia della sicurezza nei confronti dei cittadini possano aver prodotto quelle dichiarazioni. Per quanto mi riguarda ritengo che l’eccezionalità delle condizioni atmosferiche di quei giorni, la scarsità dei mezzi a disposizione non possano giustificare in alcun modo le prese di posizione da parte dei funzionari preposti.

Quando rileggo quelle frasi, la mia mente corre immediatamente ai racconti di gruppi formati principalmente da vigili del fuoco, forze dell’ordine e volontari che, addirittura proseguendo a piedi, nel pieno della bufera e nella notte buia e con il solo ausilio delle loro torce, non si posero interrogativi, non si chiesero il grado di difficoltà o quanto impegno avrebbe comportato l’azione di soccorso.

Strano, gli addetti che avevano la responsabilità di coordinare le azioni esitavano nel caldo dei loro uffici, mentre la prima linea di soccorso agiva, ormai è sicuro, in piena autonomia e con la massima velocità possibile considerato l’inferno di ghiaccio a cui andavano incontro.

Forse l’inchiesta che si sta sviluppando produrrà risultati idonei a restituire la dignità a quelle istituzioni che in fondo ci rappresentano, di cui alla fine siamo anche espressione, e in cui in fondo crediamo perché a livello nazionale abbiamo dato prova di avere un sistema complessivo di protezione civile tra i primi al mondo. Per ultimo, il desiderio è che anche i tempi delle sentenze siano rapidi perché sulle nostre coscienze non gravi il peso delle anime dei morti e delle sofferenze patite dei loro cari.

Giacomo Raparelli, Liceo Cannizzaro