Quando Mafia chiama, Sicilia risponde.

La mafia uccide, il silenzio pure!

Voglio raccontarvi una storia, la storia di un ragazzo, nato in Sicilia, baciato dal suo Sole e accarezzato dalle onde del suo mare. La storia di un uomo, umile, caparbio, sincero e testardo, figlio di Mafia e fratello di Legalità; voglio contare fino a cento e camminare fino a Cinisi, cittadina a pochi chilometri da Palermo, dove per ordine del boss mafioso Gaetano Badalamenti, il 9 maggio 1978 Peppino Impastato viene ammazzato dalla Mafia Siciliana e dal silenzio omertoso della sua gente. Giuseppe Impastato nato in una famiglia mafiosa il 5 gennaio 1948, fin da ragazzo aveva preso le distanze dai comportamenti mafiosi del padre e aveva provato a denunciare il potere delle cosche e il clima di omertà e di impunità a Cinisi. Per questo motivo fu cacciato di casa dal padre fin da ragazzo. Nel 1975 Impastato fondò il circolo culturale Musica e cultura, un’associazione che promuoveva attività culturali e che diventò un importante punto di riferimento per i ragazzi del paese. Il circolo si occupava di ambiente, di campagne contro il nucleare e di emancipazione femminile. Nel 1977 fondò Radio Aut, un’emittente autofinanziata di controinformazione, una trasmissione satirica in cui parlava della mafia in maniera dissacrante, attirando su di se l’odio da parte di alcuni dei componenti del clan mafioso di Cinisi. La paura prese il sopravvento nei cuori delle persone più care al giovane, appena trent’enne, quando decise di candidarsi alle elezioni, per farsi portavoce di una Sicilia più giusta, che potesse avere la forza di denunciare i soprusi e la Malavita.   Ebbene, ad oggi, “La mafia uccide, il silenzio pure”, questa una delle frasi più celebri di Impastato, parole che ancora campeggiano un po’ ovunque in Italia e che racchiudono il senso ultimo di una vita come la sua: trascorsa a cento passi dal nemico, circondata dal complice silenzio di amici e parenti. Sarebbe bello non aver bisogno d’eroi, di martiri, ma finché la lotta viene lasciata all’iniziativa di pochi e al coraggio di un esiguo gruppo di resistenti, non esiste altra via che quella del gesto eroico per tentare di cambiare le cose. E il gesto eroico può arrivare da un luogo e un tempo qualunque; può partire da chiunque, anche dal più piccolo e isolato degli esseri umani. Ecco perché poco importa se Peppino nacque in un paese di diecimila anime, ancor meno conta che fosse cresciuto in un contesto a dir poco colluso con l’apparato mafioso; a volte vivere con coraggio, accettando il rischio di morire, è più che sufficiente perché un’idea superi i limiti biologici del corpo e della mente che l’hanno prodotta. Eppure, paura e ritrosia sono ancora lì, dove Peppino le aveva lasciate quarant’anni or sono, immutabili e eterne. E allora viene da chiedersi a cosa sia servita la lotta del giovane siciliano se non a sollevare un leggerissimo velo, se non a suscitare scalpore o un minimo di desiderio di cambiamento di cui non si intravedono che i vaghi contorni. Ne mancano novantanove di passi. Le idee di Peppino sono ancora vive, mancano le gambe.

 

Per Peppino, da parte di chi, in una Sicilia giusta, ancora ci crede.

 

Ilenia Crispi VA Liceo Scientifico M. La Rosa Canicattini Bagni (SR)