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Intervista a Giorgio Lucenti, ex giocatore della SSC Napoli.

Quest’anno la SSC Napoli è riuscita a posizionarsi prima nella classifica di inverno, conseguendo risultati che hanno reso molto soddisfatti i tifosi, cogliamo cosi l’occasione per rivolgere qualche domanda a Giorgio Lucenti, ex calciatore che ha contribuito, alla fine degli anni Novanta, all’ascesa in Serie A della squadra Partenopea, dopo anni di militanza in Serie B.

Giorgio, a che età hai cominciato a giocare a calcio?

Ho cominciato da piccolino, verso i cinque-sei anni quando ero in oratorio, poi man mano sono riuscito a giocare in serie più alte, per esempio quando avevo sedici anni ho giocato per un anno in regionale, nel Palermo e da lì è cominciata la mia vera e propria carriera.

 

Ognuno ha un sogno da bambino, il tuo qual era? Cosa saresti voluta diventare?

Ad essere sincero ho lasciato presto la scuola perché volevo diventare un buon carrozziere, infatti mio padre fa il carrozziere. La passione per il calcio l’ho sempre avuta, ma non avevo l’ambizione di raggiungere alti livelli, come poi ho fatto, quindi direi che sono stato un po’ fortunato. Quando ho lasciato la scuola, a 14 anni, lavoravo e giocavo a calcio.

 

Sei stato fortunato.

Fortunatissimo!

 

Hai militato in diversi club, Napoli incluso, con il quale nel ’99 hai conquistato la promozione nella massima serie. Quali emozioni hai provato quel giorno?

Una grande emozione, anche doppia, perché tre giorni dopo l’ultima partita mi sono sposato. ripeto, è stata una soddisfazione doppia, perché la società non vinceva il campionato molti anni, e conosciamo la tifoseria del Napoli!

Quello è stato un anno molto fortunato, vero?

Si, molto, la squadra era buona e c’erano tutti i presupposti per fare bene.

 

Com’è vivere oggi a Napoli, cosciente di aver fatto parte del club Partenopeo?

Io conosco da tempo Napoli, ( la moglie è porticese, ndr) da ventiquattro anni, anche se da tre mi sono trasferito qui in pianta stabile, con la mia famiglia.

 

 

Durane la tua carriera hai mai desiderato allenare?

A me è sempre piaciuto, soprattutto nel settore giovanile e mi piacerebbe dirigere una scuola calcio, non nascondo che ho provato a farlo ma non ci sono ancora i presupposti.

 

Alla luce di ciò quali consigli daresti a dei giovani calciatori col desiderio di emergere?

Innanzitutto devono essere coscienti che stanno coltivando un sogno a cui non è facile arrivare, ma soprattutto devono continuare gli studi, perché è importantissimo, e fare dei sacrifici per raggiungere dei risultati, come la Serie A e la Nazionale, ma concentrarsi contemporaneamente sullo studio.

Quali cambiamenti, sia in positivo che in negativo, hai riscontrato nel mondo del calcio da quando giocavi ad oggi?

Sorride e riflette. Bella domanda questa. Una differenza che ho notato è che prima per poter giocare bastava avere tecnica, mentre adesso bisogna avere anche un fisico adatto al gioco del calcio.

Raccontaci un aneddoto divertente della tua carriera.

Beh, ce ne sono stati tanti, soprattutto quando si scherzava negli spogliatoi con i compagni. Quando si è in un gruppo e si passa la maggior parte della giornata insieme è come se si diventasse una seconda famiglia, ci sono tanti bei ricordi, non solo uno in particolare.

Ti manca questo clima di fratellanza?

Quando avevo appena smesso non tanto, ma con il passare del tempo ho cominciato a sentire la mancanza di quell’ambiente, del rapporto con altri venti ragazzi, con gli allenatori, i tifosi… era molto bello.

Cosa ne pensi della VAR?

Secondo me è uno strumento che aiuta gli arbitri, in molti casi chiarisce le incertezze che si avevano prima, quando si diceva che molti erano avvantaggiati mentre altri non lo erano e secondo me è una buona soluzione.

Qual è il goal che nella tua carriera definiresti il più importante?

Ce ne sono due in particolare, quello in Serie A e il secondo a Genova, che ci ha permesso di posizionarci in alto in classifica e di vincere lo scudetto.

Che emozioni si provano quando si manda la palla in rete?

Fare goal è sempre una grande emozione, non solo per te stesso e per la squadra, ma soprattutto per il pubblico. Quando ti trovi davanti a ottantamila persone, che hanno pagato il biglietto per vederti giocare, segnando sai di renderle felici e soddisfatte.

Che augurio lasci ai tifosi napoletani?

Sicuramente quello di vincere il campionato, soprattutto qui a Napoli, dove il tifoso vive per il calcio ed è affezionatissimo alla squadra del cuore.

Ultima richiesta: lasceresti un autografo alla redazione DireGiovani?

Certo! Tutti quelli che vuoi!

 

Ylenia Manzi