La fabbrica “abbandonata”

Mi sentivo il cuore in gola, cosa era successo? Come era successo? Cosa avremmo fatto ora? Non era il momento di farsi tutte queste domande, eravamo rimasti in tre, in una città fantasma. “Dobbiamo rimettere in ordine i fatti, quando sono scomparsi?” chiese Barbara dopo essere tornata da me e Remo avendo finito di perlustrare la zona. “Non lo so, ero andato al negozio verso le dieci ed è lì che ho iniziato a non vedere nessuno, oltre a voi.” Remo era spaventato, la sua voce si era spezzata a metà della frase e i suoi occhi erano lucidi. Aveva una sorellina di solo cinque anni, Giada, di cui doveva prendersi cura, ma anche lei era scomparsa – insieme al resto del mondo. Continuare a pensare a tutte le persone scomparse non avrebbe aiutato in questa situazione. Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Barbara disse: ”Stamattina ho avuto un incubo, perciò mi sono svegliata presto e ho visto mia padre uscire per andare a lavoro-“ Remo la interruppe chiedendo speranzoso:  “A che ora?” “Di solito esce verso le sei del mattino, ma si stava lamentando di quanto fosse in ritardo e che sarebbe probabilmente stato licenziato” gli rispose Barbara. Questo significava che non erano scomparsi durante la notte.  

“Sai dove lavora?” le chiesi, “Sì, all’ufficio dietro l’angolo” mi rispose lei. Non avevamo molte opzioni, non potevamo restare a girarci i pollici, dovevamo andare all’ufficio. Era un edificio enorme, alto quasi quanto un grattacielo e, se non fosse stato per il cielo coperto, forse avresti pure potuto vedere la sua vera altezza. 

La porta di ingresso era bloccata e le finestre iniziavano a vedersi solo dal quarto piano.  Sembrava non esserci alcun modo per entrare poi, però, mi ricordai ciò che mi disse mia madre qualche mese prima: ”Vuoi sapere come scassinare un lucchetto? (Non la domanda che mi aspettavo, ma va bene) Guarda, ti faccio vedere.” “La cosa più importante è ricordarsi l’ordine, poi vai a tentativi. Non farti ingannare dai film, ci vuole molto più di dieci secondi”.  “Barbara!”- la chiamai mentre lei ispezionava il lato dell’edificio- “Hai delle forcine?” “Delle forcine? Di solito non porto delle forcine… però ne ho alcune a casa mia, torno subito!” Eravamo rimasti io e Remo davanti all’ufficio e… aspetta, dove era Remo? Corsi più velocemente che potevo dall’altro lato di quell’edificio mastodontico e lì, per mia grande gioia, si trovava Remo. Stava lanciando contro le finestre dell’edificio i sassi più grandi che riusciva a trovare ma erano troppo rigide e non venivano nemmeno scalfite dai suoi colpi.  Guardando attentamente avresti potuto vedere l’etichetta nell’angolo della finestra, perché non l’avevano mai tolta? Non era importante, ma la finestra era un doppio vetro anti-proiettili, o almeno così diceva.  

“Remo!”- gli gridai- “Non puoi andartene via senza avvisare!” “Ah, mi hai spaventato Nico, avevo avvisato Barbara che ero andato a rompere il vetro, ti serviva qualcosa?” mi rispose lui, con un tono molto più tranquillo di prima, aveva molta fiducia in questo edificio. 

“A proposito di Barbara, l’hai vista? Sono passati circa dieci minuti e non è tornata da me.” Mi chiese appena smise di lanciare sassi al vetro. 

“No, è tornata a casa per prendere delle forcine e quel vetro è troppo resistente, non potrai mai romperlo”. Fui interrotto dalla voce di Barbara che ci avvisò di essere tornata. Di fretta la raggiungemmo davanti all’ingresso dell’ufficio. Presi le forcine e mi misi all’opera. Dopo circa quindici minuti di tentativi e tentativi, il lucchetto cadde per terra, aprendoci la strada. Salimmo in ascensore, eravamo troppo stanchi per prendere le scale.  

Ci fermammo al piano più alto dove si trovava l’ufficio del direttore, se dovevamo cercare qualcosa, di sicuro l’avremmo trovata lì. 

Quell’ufficio era il centro di attività della nostra cittadina, tutti i documenti ufficiali si trovavano lì, in uno di quei cassetti. 

Stavamo cercando quando sentimmo dei passi, aspetta… passi?

Non dovrebbero esserci persone oltre a noi qui.  

“Shh, zitti!”- bisbigliai agli altri -“Ho sentito qualcuno, nascondetevi!” “E dove?” mi chiese Barbara. 

Aveva ragione, dove? Sentivo i passi che si avvicinavano, cosa avremmo fatto? Chi erano loro? Potevano avere a che fare con la scomparsa di tutti? 

I miei pensieri furono interrotti dal cigolio dell’armadio dove Remo ci fece segno di entrare. Entrammo il più velocemente possibile, l’armadio ci permetteva di vedere chi entrava. Era una signora, di circa venti anni, seguita da due guardie. 

“Cercate i cassetti! Dobbiamo trovare quei documenti!” Esclamò lei. 

Documenti? Che stesse cercando quello che cercavamo noi? Mi girai e notai la faccia di Barbara, con la poca luce che filtrava si poteva vedere che stava per piangere. Non era il tipo di persona che era solita piangere senza motivo, che conoscesse quella donna? Sembrava che volesse dire qualcosa ma poi sentimmo una delle guardie dire: “Li ho trovati, i documenti a proposito della fabbrica di macchine” “Perfetto, possiamo andare” disse lei. 

La fabbrica di macchine? Quella che aveva chiuso cinque anni prima? 

Seguimmo furtivamente il trio che ci portò alla fabbrica abbandonata. 

La fabbrica, però, non era più diroccata come in passato, anzi, era come nuova.  Dall’unica finestra dell’edificio si poteva vedere tutta la gente scomparsa lavorare a quelle macchine, i conti non tornavano.  

“Aspettate” ci fermò Barbara, sembrava capire cosa stesse succedendo. 

Corse avanti fino a raggiungere la donna misteriosa. Si guardarono un attimo, e solo allora mi resi conto della somiglianza fra le due. Quella donna… era sua madre! Sua madre era scomparsa esattamente cinque anni prima, quando fu costruita la fabbrica. 

“Per quanto mi dispiaccia interrompere questo momento madre-figlia, vorrei ricordarvi che i nostri genitori sono ancora là dentro.” Anche Remo aveva capito chi era quella donna e non aveva tutti i torti, dovevamo ancora portare tutta la gente fuori da lì. 

Eravamo in sei adesso e una volta entrati fummo trascinati nella stanza del direttore. “So benissimo che non dichiarerai mai a me di aver fatto tutto questo, ma forse davanti a delle prove e alla polizia lo farai?” disse la madre di Barbara con tono di scherno mentre tirava fuori i documenti presi dal suo ufficio. 

Subito dopo entrò anche la polizia, con dietro tutti i cittadini. 

“Tutto quello che dirai adesso potrà essere usato contro di in tribunale.” Lo avvertì l’ufficiale di polizia. 

“Mai, non mi riporterete in quel posto!” esclamò il direttore. 

Subito dopo prese Barbara e, con uno strattone le puntò una pistola alla testa. “Un passo falso e le sparo!” Minaccio il direttore  

“Non osare!” gridò Clara, la madre di Barbara 

“Allora dammi quei documenti.” Disse lui.  

Il suo piano avrebbe funzionato se non fosse stato che la polizia era ancora nella stanza. Stava per sparare quando Remo strappò di mano la pistola al poliziotto e sparò alla spalla del direttore che fece cadere la pistola. 

Il direttore fu arrestato per ricatto, sequestro di persona e tentato omicidio. 

Finalmente ci fu spiegata la situazione: il direttore era scappato di prigione sei anni prima, aveva costruito la fabbrica che fu chiusa dato che non rispettava le norme di sicurezza. Il direttore aspettò di farsi una buona reputazione, poi, costrinse tutta la cittadina a lavorare lì, alla fabbrica. 

Gli adulti erano stati ricattati, se non fossero venute a lavorare le persone a loro più care ne avrebbero risentito e tutti gli altri erano stati portati lì con la forza e minacciati circa ciò che sarebbe successo se avessero cercato di uscire. 

Io stavo giocando a nascondino con Giada, quindi non mi avevano visto, Barbara era tornata a dormire e Remo, basso com’era, si era involontariamente nascosto dietro agli scaffali del negozio.

La fabbrica fu chiusa definitivamente e, dal giorno dopo, nessuno osò mai più parlare dell’avvenuto.

Megan Scuderi, 2F, Scuola media Salvemini

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