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Fake news, il pericolo pubblico numero uno del giornalismo contemporaneo

I social network sono ormai diventati un posto fisso su cui far vedere ciò che siamo e facciamo ma – e questo è l’aspetto forse più preoccupante – anche un luogo dove trovare verità e certezze sul mondo attuale. Ormai è risaputo che Facebook, Twitter e molti altri social network sono diventati mass media dove le persone trovano notizie su personaggi di attualità e molto spesso si creano scalpori leggendo articoli che dichiarano fatti gravi e addirittura incolpano di problemi relativi alla società politici attori o qualsivoglia categoria di persona seguita dalle masse. Ma sono veramente reali queste notizie?
Per sfatare questo falso mito dobbiamo attraversare la Manica per dirigerci ad Oxford, in Inghilterra. Infatti i ricercatori della storica università anglosassone hanno preso le mosse dalle più significative fonti di bufale condivise nei tre mesi precedenti al primo discorso sullo Stato dell’Unione di Donald Trump, lo scorso 30 gennaio, cercando di capire chi le avesse condivise e perché. E i ricercatori hanno così scoperto il motivo della simpatia di Donald Trump rispetto al social con l’uccellino, infatti hanno confermato che su Twitter è una rete di supporter di Trump a consumare la più alta fetta di bufale e sono anche la tipologia di link più condivisi!
Addirittura il massimo motore di fake news su Facebook sembra che siano proprio i sostenitori politici di Trump (politicamente simpatizzanti di estrema destra che si allontanano parecchio anche dal pensiero repubblicano) i quali condividono in rete news fallaci più di tutte le altre persone che occupano la fetta della diffusione delle Junk News, le notizie spazzatura.
Lo studio si è concentrato circa 13.500 utenti Twitter politicamente attivi su Twitter e 48mila pagine Facebook pubbliche: da quei profili sono risaliti alle notizie e ai contenuti condivisi provenienti da 91 siti dediti al confezionamento di notizie false. Parole chiave per individuarli, da una parte e dall’altra, sono “conservative media”, “Trump supporters”, “Hard conservative”, “Women’s Rights” e “Military/guns”. Al di là di tutto, le scoperte tornano a sottolineare il livello di polarizzazione del dibattito ma anche, in fondo, l’idea di come il grosso della circolazione di certi contenuti passi da veri e propri “eserciti” digitali che hanno il compito di innescarne la diffusione, che poi finisce per ampliarsi ad altre fasce di elettorato. Pur rimanendo, fra democratici e repubblicani, al massimo della contrapposizione.
Dopo aver spiegato il fatto al centro di questo articolo credo sia il momento di definire le “junk news” o, più semplicemente, quelle che in italiano sono chiamate “bufale”. La differenza sostanziale tra una bufala o la notizia diffusa da un giornale è la seguente: l’ultima ha un fondamento credibile mentre la seconda o non lo ha proprio oppure non è credibile, quindi per evitare di cascare in false notizie bisogna, prima di entrarci, cercare se sui giornali si parla dell’argomento trattato nella notizia che si sta leggendo, perciò… occhio alle fonti!
Un altro appunto va fatto su chi diffonde queste junk news che difatti è consapevole di scrivere cose false e che quindi va contro il principio di un buon giornalista che è raccontare e scrivere cose vere come anche io, nel mio piccolo, ho cercato di fare mentre scrivevo questo articolo!

Leonardo Fattori – Classe 3D