I Videogiochi sono sport? Ora sì, grazie al Cio.

Il Comitato Olimpico Internazionale ha comunicato che gli “E-sports” sono stati ufficialmente riconosciuti come sport, decisione definitiva dopo le Olimpiadi del 2020.

 

Il CIO (Comitato Olimpico Internazionale), nel 28 ottobre 2017, in un comunicato ha affermato che “Gli e-sports competitivi possono essere considerati un attività sportiva, e i giocatori coinvolti si preparano e allenano con un intensità paragonabile a quella degli atleti delle discipline tradizionali”. Riconoscendo, in maniera ufficiale, le competizioni videoludiche come sport.

La comunità dei videogiocatori, che già da molto tempo li considerava tali, ha accolto felicemente la notizia, sperando in un eventuale futuro alle Olimpiadi, che non è stato escluso dal CIO che infatti sarà tenuto a prendere una decisione definitiva in merito dopo le Olimpiadi di Tokyo che si terranno nel 2020. Questo risultato è stato in parte ottenuto in Asia, dove gli e-sports saranno presenti come disciplina nei Giochi Asiatici del 2018 e del 2022.

Tuttavia in molti credono che i videogiochi non possano essere considerati sport non coinvolgendo né sforzi né abilità fisiche, e indignandosi per la decisione presa dal CIO.

E’ però da considerare che durante gli anni il CIO ha riconosciuto come sport gli scacchi ed il bridge, che non constano di attività fisica ma soltanto mentale. Inoltre molti videogiochi coinvolgono l’attività fisica, che non è solamente intesa come sforzo (nel tiro al piattello, ad esempio, non si compiono sforzi fisici) come la coordinazione e la concentrazione. A supporto di ciò Brendan Lehman della Laurentian University di Sudbury, in Canada, condusse uno studio nel 2013 che dimostrò come i videogiochi attivino alcune aree del cervello solitamente stimolate dall’attività fisica.

Vi è infine da configurare la figura del “pro-gamer”, che è molto diversa da quella del videogiocatore medio: il videogiocatore gioca per divertimento, per pura passione per il videogioco o per hobby, il “pro-gamer” invece, così come dice il nome: “Professional-gamer”, fa del videogioco il suo lavoro, avendo un’esperienza molto più intensa rispetto a chi invece ne fa un uso puramente ricreativo (Le sessioni di allenamento dei Pro-gamer in vista di un torneo possono variare dalle 10 alle 14 ore al giorno).

Le due figure dell’atleta professionale e dell’atleta amatoriale sono riscontrabili in qualsiasi tipo di sport, ad esempio nel calcio non si può paragonare l’attività fisica di un calciatore in Champions League e quella di chi pratica calcetto.

E’ quindi chiaro che il riconoscimento dei videogiochi in quanto sport da parte del Comitato Olimpico abbia delle motivazioni valide, e che anzi non c’è motivo di credere il contrario.

  • Michele Vitrone