Riccardo Cucchi: la radio è l’essenza del racconto

Cosa vuol dire fare radio? Quali sono le doti di un buon giornalista radiofonico? Ecco cosa ha detto il noto radiocronista in questa intervista esclusiva a Leo Web Radio, la web radio del Leonardo da Vinci

La redazione

Riccardo Cucchi è una delle voci più famose dello sport italiano: radiocronista per ben 23 anni a Tutto il calcio minuto per minuto (per passare poi in tv, alla Domenica sportiva), è stato un esempio di signorilità e professionalità al microfono. Abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo a Cesena sul palco dell’evento “Fare il giornale nelle scuole” e di realizzare con lui questa intervista esclusiva

Cosa vuol dire fare radio?

C’è bisogno di giovani giornalisti che facciano radio, è sempre un mestiere bello perché, come diceva Enzo Biagi, “il giornalista è il testimone della realtà”. Per fortuna che in ogni angolo del mondo ci sono i giornalisti, sono loro che ci fanno conoscere il mondo: fare informazione è importante, purché sia libera e autonoma. Una stampa libera forma cittadini liberi

Quali sono le doti principali di un buon giornalista radiofonico?

La prerogativa fondamentale, la prima qualità indispensabile è la curiosità. Poi, certo, un buon giornalista radiofonico deve essere leale e attendibile, dire sempre la verità. E poi si deve essere imparziali: io sono tifoso della Lazio, ma nessuno se ne è mai accorto, perché quando facevo la radiocronache della Lazio ero il più severo dei critici…

Meglio la radio o la televisione?

Nella mia carriera ho avuto modo di praticarle tutte e due, ma preferisco la radio, che ha un privilegio: quello di non avere immagini. La radio ti costringe a partecipare attivamente, stimola la fantasia: l’ascolto radiofonico è attivo, quello televisivo è passivo. La radio è l’essenza del racconto

Quali consigli potresti dare ai giovani che si avvicinano per la prima volta al microfono?

Bisogna rispettare il microfono, non averne paura, ma neanche sottovalutarlo: saper scegliere le parole giuste, avere rispetto delle opinioni degli ascoltatori, cercare di trasmettere emozioni. E poi essere gentili, non vergognarsi, non perdere mai il gusto di dialogare

Ci racconti i tuoi esordi radiofonici?

Si può dire che ho cominciato da bambino: negli anni Sessanta c’era Tutto il calcio minuto per minuto, io ascoltavo le voci di mostri sacri come Enrico Ameri e Sandro Ciotti, chiudevo gli occhi e mi sentivo dentro lo stadio, giocavo a fare la radiocronaca anche da altri campi… Poi ho fatto un provino alla Rai, davanti a un altro mostro sacro come Sergio Zavoli: gli ho detto “vorrei fare il radiocronista…” e lui mi ha risposto “vediamo cosa sai fare!”… E mi ha fatto improvvisare una radiocronaca lì per lì, era Juve-Milan; poi la prima partita “vera” è stata Campobasso-Fiorentina. Era l’agosto del 1982 e da lì tutto ha avuto inizio…